“CARO AMICO, TI SCRIVO FORTE…”

La canzone di Lucio Dalla “L’anno che verrà”, ha sempre suscitato in me un senso di intimità con una persona amica a cui scrivo una lettera e, in quella scrittura particolare, ho la possibilità di aprire tutto di me: emozioni, attese per il domani, paure, la voglia di essere felici senza pensare a grandi aspirazioni, ma solo assaporare con gratitudine la vita, nella libertà di essere me stessa.
Esistono diversi tipi di lettera e in un mio articolo di qualche tempo fa ho raccontato di un percorso nella storia e di come questo mezzo di comunicazione si sia evoluto dall’antichità ai giorni nostri; ho anche descritto i passaggi dalla scrittura a mano di una lettera privata d’amore fino alla e-mail, quali fossero le emozioni provate o le aspettative, senza dimenticare le finalità diverse di una tale scrittura, quando entrano in gioco interessi commerciali e di marketing.
Insomma, il mondo è in continua evoluzione, ma se riflettiamo sul valore intrinseco di una lettera autobiografica, su cui vorrei soffermarmi oggi in questo articolo, allora scopriremo come il viaggio interiore nella propria storia, pur con modalità nuove dal passato, non cambia la prospettiva di cosa cerchiamo, quando ci apriamo con la scrittura alla verità di noi.
La scrittura autobiografica ha diverse forme, come il diario, ad esempio, che trovo molto vicino alla lettera, perché in entrambi definiamo un tempo e uno spazio, una data e un luogo, in cui i nostri pensieri si muovono: la differenza è che nella lettera noi scegliamo un interlocutore che può essere reale o fittizio, come nel caso di un testo letterario epistolare, in cui il personaggio immaginario rappresenta il nostro “alter ego” verso cui rivolgiamo la narrazione e le nostre riflessioni.
Quando sentiamo il bisogno di scrivere una lettera autobiografica?

Scrivere una lettera autobiografica è diverso dallo scrivere una pagina di diario, dove siamo soli, in ascolto di noi stessi.
C’è sempre un evento scatenante che spinge la nostra coscienza a prendere in mano carta e penna o ad aprire una pagina di word e iniziare a scrivere a un nostro amico e, di certo, quello che scriveremo sarà dedicato solo a quella persona e non a un’altra: la scelta del nostro interlocutore già racconta molte cose perché ogni volta, nel dialogo epistolare, cerchiamo un’anima congiunta alla nostra che sappia accogliere le nostre confidenze, custodirle con cura.
L’evento scatenante potrebbe essere un momento di crisi in cui sentiamo il bisogno di essere ascoltati, o anche un evento felice e lo vogliamo condividere con chi è parte di noi, seppur si cammina su strade lontane: le affinità elettive creano dei ponti e la lettera autobiografica è lo strumento per entrare in contatto con l’altro, per sentirci in comunione con chi è allineato ai nostri valori.
Un tempo, quando non esistevano le mail, nello scambio epistolare si consolidava un rito, un modo particolare di vivere la scrittura, soprattutto nell’attesa dei giorni necessari all’arrivo della lettera al destinatario e della sua risposta.
Si generava in noi una carica emotiva, mossa anche dall’intimità di riconoscere la scrittura dell’altro, come se si creasse un legame speciale tra le due identità che lo stile unico della calligrafia riportava alla coscienza visiva, prima ancora che nei contenuti.
E, prima di sigillare la busta, quando si passava la lingua lungo i bordi, o nell’atto di spedirla, il cuore batteva forte per l’emozione vissuta: durante il percorso lento fino alla posta vicina si avvertiva il peso di quella missiva, nella mente si ripercorreva ogni passaggio della lettera, ogni parola scritta, ed era una sensazione diversa da un semplice clic su “invio”, in cui l’inevitabilità del gesto si gioca in un attimo, senza la possibilità di riflettere ancora.
Davvero scrivere una lettera autobiografica è la forma di comunicazione più personale e segreta che si conosca, in essa confessiamo ciò che, spesso, non riusciamo a confessare a noi stessi.
Forse, quando sentiamo che dall’altra parte esiste qualcuno a leggere quelle pagine di profonda narrazione di sé, il coraggio di guardarci dentro sarà meno doloroso, perché arriverà una parola di incoraggiamento, di conforto, un rimando che riveli la vera e unica risposta che ci portiamo dentro da tanto tempo.
Può darsi che l’esercizio di aprirci alla verità di noi attraverso la lettera non sia quello più idoneo, a volte succede che ci lasciamo trasportare dal dilungarci su cose meno importanti, per paura di scoprirci troppo, ma alla fine la scrittura non mente mai, soprattutto quando dobbiamo dare la risposta più difficile alla domanda più semplice: “Come stai?”
C’è un grande insegnamento nella lettera autobiografica e nella canzone di Dalla viene espresso in modo chiaro: “scrivi forte”, scegli le parole giuste, soppesale, rendi ogni fatto un racconto di te e di cosa ti respira dentro.
Scrivi forte!
La lettera autobiografica come cura dell’altro

In definitiva, la lettera autobiografica, può diventare un esercizio profondo di autoanalisi perché ti costringe a tracciare una riflessione coerente e lineare, il flusso di pensieri non può essere libero come in una pagina di diario, perché sia comprensibile all’altra persona, e questo aiuta a far maggiore chiarezza dentro noi stessi.
Proprio in un tempo recente, a causa di una dolorosa crisi personale, ho vissuto l’esperienza di affidarmi alla lettera autobiografica, come mezzo di ascolto e ricerca interiore per capire me stessa e cosa mi stesse succedendo, grazie al supporto di persone accoglienti e che hanno saputo condividere con me questo percorso.
E cosa ho scoperto?
Nella lettera ci sono pagine a “doppia voce”, un dialogo corale di pensieri ed esperienze, ci esponiamo nella speranza di essere accolti, ma rischiamo anche di essere giudicati, ne ho avuto paura, lo ammetto.
Però, la vera scoperta è che, nello scambio epistolare, quando metto in gioco la mia vita presente e, forse anche futura, ho trovato quanto è stupendo riconoscere, in chi mi legge, la cura per l’altro.
È un aspetto che non può mancare in questa forma di comunicazione scritta, intima e autobiografica.
Immaginiamo che la persona che ci scrive sia davanti a noi, ne percepiamo i movimenti, la voce, ne asciughiamo le lacrime, ne assorbiamo le emozioni, perché comprendiamo lo sforzo che c’è stato dall’altra parte di aver ricercato le parole essenziali per renderci partecipe della sua storia.
E l’attenzione deve essere reciproca, se manca la corrispondenza del valore di cura, la lettera autobiografica perde di efficacia e può provocare la frustrazione di non sentirsi compresi e ascoltati.
La cosa poi che amavo di più, quando scrivevo una lettera a mano e quando ero in attesa della risposta, era l’imprevedibilità del destino, quel senso di incertezza che alimentava il desiderio del legame affettivo.
Ero invasa da mille domande.
Avrò scritto chiaro? Ma forse questo non avrei dovuto dirlo, chissà cosa penserà di me. E se non arriverà mai?
In quei fogli c’era un pezzo di me ed erano in viaggio tra paesi lontani, passavano di mano in mano fino ad arrivare in quella cassetta delle lettere dove la persona a me cara l’avrebbe accolta per sempre nella sua casa, al sicuro.
Non avevo neanche la possibilità di rileggere quanto avevo scritto, come invece succede con le mail di cui ti resta una traccia nell’account di posta, non potevo che affidarmi alla memoria.
Ma ancora più bello è che una lettera scritta a mano potevo portarla con me, ovunque io desiderassi, in tasca o tra le pagine di un libro perché non mi abbandonasse mai: era come portare con me un amico caro a cui volevo bene per prendermi cura della sua anima, rileggere più volte quelle righe, a volte illeggibili o con tante cancellature perché l’emozione vince sulla mano ferma, per cercare di cogliere tra le parole una virgola di me, una speranza che tutto andrà bene, nonostante tutto.
La cura dell’altro è questo, un pensiero che non sarà mai lettera morta, ma accoglienza e risposta d’amore duratura nel tempo e nello spazio, quando tutto inizia con un semplice “Caro amico, ti scrivo forte perché ti amo”.
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