IMPERFEZIONI

UNA SCRITTURA IMPERFETTA PER UNA STORIA IMPERFETTA

“Sapevo bene che, se fossi riuscito a scrivere almeno quel rigo iniziale, poi tutto il resto sarebbe venuto da solo, ma non c’era niente da fare: quel rigo non veniva proprio. Era tutto talmente chiaro che non sapevo da dove cominciare. Era come avere una mappa dettagliata, ma così dettagliata da diventare inservibile. Ma adesso capisco. Capisco che in fondo a poter riempire quel contenitore imperfetto che è la scrittura, sono solo ricordi e pensieri altrettanto imperfetti”.

(estratto da “Norwegian Wood” di Haruki Murakami)

Succede spesso che, quando apriamo una pagina bianca e iniziamo a scrivere, esiste sempre la paura di sbagliare. Ci sentiamo vulnerabili e inadeguati, così che nasce il pudore di nascondere pensieri che riteniamo imperfetti, come imperfetta risulta la nostra scrittura.

Da dove emerge questa convinzione è intuibile, se analizziamo la società intorno a noi, dove ci viene imposta ad ogni costo la perfezione, tra forme e competenze.

Di conseguenza, desideriamo offrire una forma perfetta alla nostra autobiografia, quando mettiamo in gioco emozioni, idee, pensieri, mossi dal bisogno di essere visibili in un mondo sempre più vissuto da invisibili, stritolati dentro gli ingranaggi di intelligenze artificiali che definiscono i confini in cui muoverci, senza più avere il diritto di sbagliare per migliorare. O cadere per rinascere.

Perfezione significa immobilismo, non c’è più nulla da scegliere e ricercare, non ci sono più passi da muovere nella bellezza di un viaggio.

E una scrittura perfetta quando e come esisterà nel tracciare una storia, se mai le nostre vite potranno essere perfette, nel conflitto quotidiano tra forza e fragilità? Determinazione e paura?

Le idee, le emozioni vissute, il dolore attraversato, non puoi incatenarli dentro parole che non rispecchino la libertà dell’imperfezione, nella verità delle persone che siamo stati ieri, quando scaviamo a riesumare ricordi lontani, non sempre felici. I ricordi a volte scarnificano l’anima e risvegliano tracce di un dolore dimenticato, ma che ancora fa male.

Murakami è molto chiaro, quel rigo iniziale della nostra storia spesso non arriva, quel foglio bianco resta tale, bloccati nelle nostre insicurezze.

Allora, da dove mai potremo cominciare a raccontarla un’autobiografia?

È chiaro che per riempire quel “contenitore imperfetto” in cui la nostra scritta traballa, è necessario accogliere come tali, per come sono stati vissuti, pensieri e memorie altrettanto imperfette.

È vero anche che, quando abbiamo cura della scrittura, nella continua ricerca della giusta parola, è per il grande rispetto che una storia merita. E il mezzo stesso della scrittura acquisisce dignità e perfettibilità.

Perfettibilità, non perfezione, perché su quel foglio bianco possa emergere la parte migliore di noi, senza paura dell’errore, ma liberi nella forma più autentica della nostra voce narrante.

Pertanto, iniziare a scrivere nella narrazione di sé o anche qualsiasi altra storia di cui siamo stati testimoni, dobbiamo liberarci da ogni timore e accettare il rischio che nulla sarà perfetto dentro quel contenitore da riempire di parole, purché siano le nostre parole, quelle vere che ci appartengono.

Scrivere è come vivere l’afflato di un innamoramento, quando ti lanci nella relazione senza temere le conseguenze, rischiando anche di soffrire. Poi arriva il tempo di costruire una stabilità affettiva con quella persona. La stessa cosa avviene quando ci affidiamo alla scrittura, innamoriamocene: buttiamoci su quel foglio bianco, senza paura di quello che potremo scoprire di noi stessi in quella relazione.

Poi, arriverà il tempo di costruire e disciplinare quelle parole scomposte in una forma migliorabile, ma sempre libera da virtuosismi perché racconta, in un linguaggio autentico, il nostro viaggio dell’eroe, un insieme di fotogrammi imperfetti a volte sfocati, a volte sovraesposti, ma che, uniti nel tempo e nello spazio, definiscono un’autobiografia.

Insomma, non esiste una scrittura perfetta, come non esiste una vita perfetta. L’unico modo che abbiamo per convivere con questa verità è scrivere ogni giorno, come ogni giorno vivere, imparando a crescere e a migliorare, nella speranza di essere meno imperfetti.

Scrivere, riscrivere e riscrivere ancora, nonostante la paura di sbagliare.

E l’impegno, la dedizione, lo studio e la disciplina saranno ripagati da quel libro meraviglioso della nostra autobiografia che abbiamo riscritto e riscritto fino allo sfinimento, con la testarda abitudine di essere imperfetti.

PERSONAGGI IMPERFETTI PER UNA NARRAZIONE IMPERFETTA

La letteratura ha da sempre rappresentato le imperfezioni della vita nelle varie e molteplici sfaccettature, così da creare personaggi in cui poterci rispecchiare nelle nostre umane inquietudini e contraddizioni.

Ed ecco nascere personaggi imperfetti a rappresentare ogni colore delle emozioni, gioia e rabbia, invidia e benevolenza, coraggio e paura, gelosia e fiducia… perché noi siamo nella realtà un insieme di luce e ombra con cui dovremo sempre fare i conti.

“Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante.” – ci ammonisce Friedrich Nietzsche e, se ci riflettiamo, la meraviglia stessa dell’universo, nell’atto creativo di un Essere Superiore, è partorito esso stesso da un’esplosione incontrollata e imperfetta di un disordine primordiale.

In definitiva, in ogni espressione artistica, non solo in letteratura, l’imperfetto è rappresentazione viva dell’autentico. Avvenne così che pittori impressionisti come Monet o Matisse, ad esempio, scelsero di sovvertire l’ordine a cui doveva sottomettersi un perfetto ritrattista al suo tempo, perché le inesattezze formali di un dipinto meglio raccontano il mondo interiore di un personaggio, composto di fragilità e turbamenti.

Pertanto, le trame di una storia lasciano spazio ai movimenti inconsulti di un’anima in tormento, a flussi incontrollati di coscienza che generano in ogni lettore un senso di empatia e compassione. O forse di totale partecipazione perché in quella narrazione imperfetta riconosce sé stesso.

Succede allora che personaggi imperfetti si muovono all’interno di narrazioni imperfette per come sono le nostre vite in continua trasformazione, quando nel dolore ricerchiamo una speranza e una via d’uscita per ricominciare a vivere con amore.

È soltanto nell’imperfezione che siamo veri e sublimi, eroi incontrastati di un viaggio in cui ci giochiamo l’esistenza, nella lotta scomposta contro i nostri nemici quotidiani, quei demoni interiori da cui scaturiscono furore e debolezze, ma che sono parte essenziale e bellezza improvvisa della nostra anima in rinascita.

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