
Viaggio dentro la propria storia attraverso il mondo surreale di uno scrittore giapponese
1) NORWEGIAN WOOD

“La morte non è l’opposto della vita, ma una sua parte integrante”
Ho ripreso la lettura di Murakami, iniziando da “Norwegian wood”, primo libro che un amico mi suggerì per imparare ad approcciarmi a questo autore giapponese. E mi resi subito conto che non esistono mezze misure, quando attraversi certe storie, scritte nell’intento di trascinarti dentro quel mondo oscuro e quelle ombre che esistono in noi.
Rileggere Murakami ha un significato diverso, rispetto a quando si riprende la lettura di un libro perché ci ha appassionato. No, rileggere Murakami per me significa rimettere in ordine i pezzi che, in modo scomposto, avevo rimescolato in quel tempo passato. Dopo la tempesta.
Oggi, a questo punto del mio viaggio terreno, ho acquisito occhi nuovi e allora, dinanzi a parole che parlano di morte, non in termini di condanna, ma come suggello di una vita nella sua integrità, ritengo che Murakami si stia rivolgendo alla parte migliore di me per offrirmi un ulteriore cambiamento perché oltrepassi il senso carnale dell’esistenza e sia condotta verso il mio “altrove”, nella visione spirituale della mia anima.
“Norwegian wood” è la storia di un giovane uomo che si rivede dentro la propria storia, a contatto con un dolore di cui non aveva ancora riconosciuto le coordinate e in che modo avesse condizionato i passi intrapresi negli anni. Finché arriva un momento che impari ad aprire il tuo cuore:
«Conosco la differenza tra le persone che sanno aprire il loro cuore
e quelle che non sanno farlo.
Tu sai aprirlo. Ma solo quando lo dici tu, beninteso».
«E se uno lo apre cosa accade?»
Sempre senza posare la sigaretta Reiko appoggiò le mani sul tavolo,
e con aria divertita disse:
«Si guarisce!»
Insomma, l’autobiografia non è una semplice descrizione di fatti accaduti, ma intervengono diverse situazioni che ci cambiano la prospettiva e aprire il nostro cuore a noi stessi e all’altro e non è una cosa semplice. Non tutti riescono e non è una cosa che ti può essere insegnata, ma solo mostrata.
E cosa succede quando si apre il cuore alla narrazione di sé?
Murakami ce lo dice in modo molto semplice:
SI GUARISCE!
E guarire vuol dire offrire a noi stessi e anche a chi ci ascolta una nuova possibilità di ricominciare a vivere.
2) KAFKA SULLA SPIAGGIA

La mia vita è caratterizzata da crisi cicliche, è come essere in mare aperto, ma ogni passaggio è diverso perché, dopo quel vento, ogni volta non sono più la stessa e parte del mio identikit interiore ne esce modificato, spesso stravolto.
Scopro così che in me esiste qualcosa di essenziale a definire la mia identità in momenti della vita in cui mi sento persa. Ma è proprio nel perdersi che ritrovo la libertà di vivere nella verità di chi sono e non come gli altri si aspettano da me.

“Kafka sulla spiaggia” è un romanzo meraviglioso, per quanto visionario sia, dove un ragazzo dall’animo adulto e un vecchio dal candore infantile, seguiranno percorsi paralleli, superando barriere infide, fino alla scoperta del senso di una vita a cui sono destinati. Ed è questa strana inquietudine che mi assale nel leggere la storia a trascinarmi nel fondale dove sono sommerse memorie e tracce di me stessa, di quel dolore invisibile che continua a parlarmi attraverso le parole di Murakami.
Ora posso capirlo cosa, in verità, mi abbia legata nel profondo a questo autore più di altri. Tra le righe esisto io, nel quadro che si trasforma e mi rimanda stravolta l’immagine di me, perché possa emergere la bellezza che per troppo tempo ho nascosto soprattutto a me stessa.
È una demarcazione di territorio importante, indicato da Murakami alla perfezione, quando l’autobiografia si staglia alla nostra coscienza per quel bisogno innato che, in un tempo preciso della vita, bussa alla nostra porta. Significa scandagliare la profondità del nostro essere fino alla radice, come un anatomopatologo arriva a conoscere ogni frammento di corpo, strato dopo strato, per comprendere le motivazioni di una morte.
Invece, noi dobbiamo comprendere le motivazioni di una vita, forse per evitarla quella morte dell’anima, prima ancora della morte corporale.
3) L’ASSASSINIO DEL COMMENDATORE

Un uomo porta con sé una borsa con pochi indumenti e le sue matite per disegnare i suoi ritratti. Un vagabondare senza meta lo condurrà presso la dimora di un grande pittore dove soggiornerà per un certo periodo.
Per caso, nascosto in soffitta, scoprirà l’esistenza di un quadro, “L’assassinio del commendatore” che dal primo momento provocherà nel protagonista una sorta di magica attrattiva. Il quadro, insieme al suono misterioso di una campanella nella notte, lo sospingerà dentro un mondo oscuro in cui sarà costretto a rimettere tutta la sua vita in discussione, fino a scoprire che la sua realtà e la vita stessa sono cambiate per sempre.
Ecco, io oggi mi sento invasa da questo irreale istinto di prendere una valigia con le poche cose che mi rappresentano e raggiungere quel mio “altrove” di cui conosco l’esistenza, ma ancora non l’ho visto e scelto per me.
La mia autobiografia sarà una mappa per raggiungere il luogo, reale o metaforico o entrambi, dove potrò riposare ed essere felice della donna che sono. Ma senza questa irreale inquietudine che ogni tanto mi prende, la scrittura mia sarebbe semplice esercizio stilistico e non respiro di anima, non vita.
“Col senno di poi ci si rende conto che la vita è davvero strana. Piena di coincidenze strampalate, quasi incredibili, di sviluppi tortuosi e inimmaginabili. Nel momento in cui le cose accadono, però, anche a osservare la situazione attentamente in ogni aspetto, nella maggior parte dei casi non ci si accorge che sta accadendo qualcosa di anomalo… Ma per capire se qualcosa sia logico o no, occorre guardarlo a distanza di tempo”
Posso davvero affermare che la mia vita attuale, tra le tante vissute negli anni sin da bambina, è invasa da un certo numero di coincidenze, molte delle quali nascono dalla mia scrittura, qualsiasi essa sia. In qualche modo, anche quando lavoro per i clienti, ho il sentore di ridisegnare il ritratto della mia conformità umana come parte di un universo più grande di cui io sono soltanto una minuscola stella danzante, nata dal caos.
Tutte le storie, alla fine, convergono verso un afflato d’amore, non siamo isole e la scrittura della nostra autobiografia ha la facoltà di costruire ponti, flussi di energia vitale, donata reciprocamente nell’ascolto.
CONCLUSIONE
Non è facile immergersi nella scrittura di Murakami, ma oltre un contesto letterario e uno spirito critico che ci anima quando ci approcciamo a un testo, in quelle storie esiste una porta da attraversare.
E dietro quella porta, superata la tempesta, incontreremo la parte migliore di noi, il vero talento che ci riconsegnerà il senso di un’intera vita.
È dentro noi la radice di una felicità a lungo attesa, nascosta in quel nostro immenso cuore aperto alla guarigione dal dolore, trasformato in gioia.
Gioia, il mio nome

Lascia un commento