IL SUMINAGASHI PHILOSOPHY E LA SCRITTURA DI SÉ

SECONDO ARTICOLO

PENSIERI POSITIVI PER VIVERE IL PRESENTE

Se qualcuno mi chiedesse un mio pensiero sulla depressione, gli attacchi di panico, l’apatia o ancora, sull’assoluta paura di vivere, risponderei che conosco tutto quanto c’è da sapere su quelle parole perché le ho vissute. E la memoria di quelle esperienze è profondamente conservata in me, nelle cellule, nei fluidi del mio corpo e della mia coscienza universale. Potrei addirittura averla trasmessa e forse una persona o più persone del mio passato l’hanno trasmessa a me.

È una catena che imparai a spezzare, dovetti farlo per amore di me stessa, perché non è una condanna il destino, ma una storia nuova da riscrivere, salvandomi dall’oscurità della depressione.

Cosa in effetti mi ha salvata è un passaggio che non ho ben chiaro, forse lo sto scoprendo attraverso la ricerca della mia storia perché, quando ci immergiamo nella scrittura di sé, noi curiamo antiche ferite che ancora possono farci del male e scaraventarci di nuovo in quella “caverna oscura” delle nostre paure, dei conflitti interiori da cui siamo sopravvissuti. Non basta però esserne usciti, bisogna capire perché ci siamo entrati e come possiamo impedire ai demoni del passato di vincere su di noi, fino alla morte.

E io la morte l’ho conosciuta, ne ho avuto paura, ma non della morte in quanto passaggio verso cui tendiamo tutti perché parte essenziale della nostra umanità, si nasce e un giorno saremo altrove, è nell’ordine naturale delle cose. No, ho avuto paura perché non conoscevo più un motivo per cui dovessi vivere, il senso del tutto per alzarmi all’alba di ogni giorno e respirare.

Scegliere di essere Ghostwriter e curatrice di autobiografie, non credo sia stato un caso e molti clienti me lo dicono: “Io mi sento felice, sto meglio quando parlo di me per costruire la mia autobiografia. E grazie a questo percorso con te nella mia storia ho scoperto una cura, una luce nuova sulla strada”.

Non è questo un risultato studiato e voluto, ma è una conseguenza che nasce dal saper trovare pensieri positivi che possano cambiare la visione che abbiamo di noi stessi oggi, quando ripercorriamo le stanze della nostra vita.

Possono davvero i pensieri positivi gestire quelle tracce che ci impediscono di evolvere?

La mente ha un grande potere, me ne sono resa conto negli anni e il segreto è stato innanzitutto osservare quelle ferite, leggerle dentro di me come parole scritte in un libro che porta il mio nome. L’accettazione di quel dolore è stato il passaggio successivo, l’accoglienza nelle pieghe del mio cuore e nella consapevolezza della mia coscienza. E poi, con grande forza di volontà, ho scoperto che io quel dolore posso trasformarlo per cambiare la mia vita in altro.

Godere del qui e ora è un passaggio ultimo a cui ogni giorno io anelo e lotto per impedire alle tracce di un passato scabroso o alle ansie per il mio futuro di annientare la mia gioia di vivere.

Spesso succede proprio questo: la maggior parte dei disagi interiori nascono dal fatto che siamo sempre voltati indietro, incatenati a un tempo andato che non esiste più, oppure troppo proiettati con lo sguardo in avanti verso un domani che ancora non c’è, dimenticandoci di vivere in pienezza il tempo presente.

LA MEMORIA DELL’ACQUA: IL SUMINAGASHI PHILOSOPHY

Incontrare Beatrice Basso è stato per me un dono della vita perché ho scoperto in me il significato di alcune tracce che sono sopravvissute alla mia rinascita, ma che ancora non ne avevo colto la piena consapevolezza per trasformarle in parole nuove e vivificanti.

Innanzitutto, che cos’è il Suminagashi?

È l’antica arte giapponese di dipingere sull’acqua.

Nasce intorno all’anno Mille come tecnica per decorare la carta a contatto, tramite l’inchiostro (sumi) che fluttua (nagashi) galleggiando sull’acqua. Attraverso le tracce dell’inchiostro si formano disegni astratti che vengono poi trasferiti in un foglio di carta washi adagiato sulla superficie dell’acqua stessa.

Il bello è che ogni stampa è unica: impossibile riprodurne una uguale all’altra.

All’inizio, quando conobbi Beatrice, la sua tecnica di coaching attraverso il Suminagashi, mi aveva molto incuriosito. Così una sera andai alla Locanda Rosa Rosae per immergermi in questa strana esperienza meditativa, giocando con le suggestioni dell’acqua e, con stupore, ne uscirono suggerimenti interessanti.

Ma quando decisi, dal 24 maggio al 26 maggio scorso, di partecipare al Residenziale del Suminagashi Philosophy in Umbria, ero in una particolare situazione di caos e capii che l’acqua era il mio elemento. Solo dialogando con la mia anima, attraverso le vibrazioni sull’acqua, scaturite dalle parole della mia storia, io avrei potuto aprire un varco alla conoscenza profonda di me stessa, per ritrovare un ordine nel caos di pensieri fluttuanti.

C’è chi ha affermato che l’acqua ha una memoria, ma su questo argomento esistono pareri discordanti e scientificamente sembra che non ci siano riscontri oggettivi osservati, tanto da ritenersi una teoria pseudo-scientifica.

Ma cosa significa “memoria dell’acqua”?  

Il significato sarebbe da attribuirsi alla presunta proprietà dell’acqua di mantenere un ricordo delle sostanze con cui è venuto a contatto e Masaru Emoto, uno studioso giapponese di medicine alternative, andò ben oltre, affermando che ci sarebbe una relazione tra i pensieri umani e i vari stati dell’acqua. Infatti, attraverso immagini fotografiche di cristalli, Masaru Emoto affermò che alcuni cristalli mantengono una forma armonica e simmetrica, mentre altri caotica e disordinata, in conseguenza di un’energia a cui vengono esposti, come la musica oppure parole scritte su etichette attaccate a brocche di vetro in cui sono contenuti.

Io non lo so se questo possa essere vero, l’esperienza scientifica ha le sue leggi che non sempre però sono incontrovertibili e spesso molti scienziati giudicati pazzi in passato, in seguito ottennero consensi e riconoscimenti.

Ma la vita amo viverla da visionaria e l’idea che io sono in grande percentuale composta di acqua, se penso alla sostanza delle cellule di cui siamo costituiti e dove esse sono immerse, mi porta a immaginare come ogni emozione vibrante nella mia anima od ogni esperienza vissuta, rilasci un’energia che si propaga nel mio corpo, lasciando un’impronta che forse possa riemergere vivida in determinati stati d’animo o momenti.

Non possiamo ricordare ogni attimo vissuto, ogni immagine vista, ogni parola che abbiamo pronunciato o ascoltato negli anni, eppure sono lì, codificate da qualche parte. E troppo spesso ci dimentichiamo quanto le parole siano potenti, feriscono o salvano per quella carica energetica profonda che racchiudono in sé. Prima o poi l’esperienza torna, la traccia comunica con te, ti scuote dal torpore e lo so perfettamente che è così, perché l’ho vissuto.

Io quella memoria sull’acqua l’ho vista, mi ha parlato.

Posso essere smentita razionalmente, non mi interessa, non è uno studio scientifico che mi potrà mai restituire la verità di chi io sono, nemmeno l’acqua probabilmente. In realtà dipende da me, da quanto io sia libera di ascoltare le vibrazioni dell’anima che mi respirano dentro, il senso della vita di cui solo io posseggo la chiave per entrare e scoprirne le risposte.

Le tecniche meditative sono tante e numerose sono le strade per raggiungere la profondità della nostra coscienza dormiente, quel subconscio segreto in cui abbiamo paura di immergerci perché fa male guardare chi siamo, riconoscere il nostro vero volto trasfigurato dal dolore. Ma se non lo attraversiamo quel dolore, se non ne facciamo esperienza, mai saremo abbastanza liberi di lasciar andare il nostro passato e chi ci ha ferito.

Beatrice Basso ha creato uno stupendo connubio tra l’esperienza pittorica del Suminagashi e le tecniche del coaching, aprendo una strada a un processo creativo che conduce alla scoperta della nostra interiorità.

Silenzio, immersione nella natura, gestualità disegnano una cornice in cui esistiamo solo noi e il nostro mondo interiore. E quell’inchiostro che fluttua leggero sull’acqua racconta le vibrazioni di immagini lontane o emozioni sopite emerse nell’esperienza meditativa del Suminagashi.

Al Residenziale, distanti dal caos della vita quotidiana, in un’oasi di pace, tra le voci del bosco, il vento e le fragranze della natura, il Suminagashi Philosophy è stato un viaggio in cui mi sono sentita presa per mano, quando un baratro si era spalancato davanti ai miei occhi. E mi sono aperta, attraverso anche lo strumento della scrittura, a una più profonda consapevolezza delle mie ferite antiche di cui non conoscevo l’essenza.

Eppure, il volto era inciso sulla mia pelle, il volto di un dolore che, tra le onde, il vento e le vibrazioni interne del mio respiro, disegnavano sull’acqua, direzionando l’inchiostro a tracciare una strada su cui ritornare in vita.

E ho chiesto a Beatrice di raccontare per noi la sua esperienza con le persone nei suoi Workshop e, in particolare cosa ha significato per lei l’esperienza vissuta al Residenziale che, posso testimoniare, è stata unica, oltre ogni aspettativa:

“Il Suminagashi Philosophy vissuto durante l’esperienza del Residenziale in Umbria è stato potente, sia per l’energia che ognuno dei partecipanti ha trasmesso nella condivisione del lavoro personale e di gruppo, sia per quello che ho sentito vibrare in me.

Il Suminagashi è uno strumento, una via che mi consente, attraverso un percorso meditativo, di leggere l’anima delle persone per aiutarle a sciogliere blocchi o situazioni limitanti perché possano proseguire la propria vita in maniera sana.

Ogni incontro che io vivo attraverso i workshop base e i lavori individuali del Suminagashi Experience è una ricchezza, un dono speciale che ricevo e offro, ma il Residenziale la considero una missione, ancor di più una scoperta perché l’esperienza si è rivelata a me in altra veste. Avevo programmato un itinerario ben preciso, esercizi da accompagnare alla tecnica del Suminagashi, ma alla fine tutto si è rivoluzionato in base alle esigenze che sono emerse.

In definitiva, l’acqua è un elemento duttile che si adatta al “contenitore” personale che noi apriamo con libertà e che è la nostra anima. Siamo noi che imprimiamo il senso di un cammino spirituale e l’acqua traduce il sentire di ognuno che poi verrà impresso su carta.

In quel caso, però, durante il Residenziale, un ulteriore strumento che ho usato è stato suggerito dall’ascolto stesso delle tracce affiorate sull’acqua da parte dei partecipanti al Suminagashi, uno strumento che non avevo preso in considerazione in quel contesto, ma che ho accolto grazie alle intuizioni che mi ha offerto la pittura: le onde quantiche.

Cosa sono le onde quantiche?

In pratica, è stato osservato che qualsiasi fenomeno avviene nel nostro corpo determina una variazione di energia generata dalla vibrazione delle cellule, considerando che noi siamo composti nel 70% di acqua, oltre che di tessuti, organi, emozioni. Ogni elemento vivente all’interno del corpo, cellule, molecole, organi, emettono una propria frequenza, vibrazioni che ci dicono se siamo in equilibrio energetico o in squilibrio, con il rischio di sviluppare disturbi sia fisici che emotivi.

È chiaro che per me non è una semplice tecnica artistica il Suminagashi, è molto di più, è un metodo che mi permette in modo immediato e dinamico di arrivare nella profondità delle persone, grazie al potere comunicativo, forte e chiaro, delle immagini: esse traducono quelle onde interne ed emotive, quando ci lasciamo trasportare dalla bellezza dell’acqua, dalla natura che vive intorno a noi, nutrita dall’essenzialità di questo elemento vitale per il pianeta e i suoi abitanti.

È la persona che crea il disegno, che si riconosce, lo interpreta, ne accoglie i suggerimenti che scaturiscono dalla meditazione e dall’ascolto profondo di sé, io semplicemente accompagno ognuno in questa fase delicata. Bisogna rispettare questo momento, durante l’interpretazione, a volte non tutti sono pronti, ma quando c’è la libertà interiore di lasciarsi condurre dall’esperienza, allora capisco che posso spingere perché emerga la potenzialità e l’unicità della persona.

Questo è stato il fine ultimo del Residenziale, lasciar andare le «immondizie» e non farci carico di situazioni, pesi o blocchi, che a volte non sono nemmeno i nostri, ma che ci sono stati tramandati, perché si sia più liberi di camminare a testa alta e più leggeri, portando con noi solo ciò che è utile per la nostra vita.

Alla fine, che bello è offrire luce alla bellezza unica che noi siamo, riconoscere la nostra identità non più oppressa dal dolore del passato. Essere la migliore versione di noi e proseguire il nostro percorso evolutivo al meglio è il vero risultato che ritengo fondamentale in ogni Suminagashi, nella semplicità delle immagini e nella trasparenza dell’acqua.

Inoltre, al Residenziale abbiamo anche usato le parole, in abbinamento alla tecnica pittorica: il binomio parole acqua davvero hanno creato un connubio magico e una direzione forte e trasparente al percorso.

Per concludere, il Residenziale è stato potente anche per la sinergia che si è creata con la natura e con il vento che ha dato inizio a qualcosa di profondo e risolutivo per le persone”.

CONCLUSIONE – IL MIO NOME È GIOIA

Scrittura e pittura sull’acqua si sono sposate, regalando un passaggio in cui mi sono sentita stimolata a valorizzare ulteriormente la donna che sono e le mie risorse, attraverso una migliore consapevolezza, un lavoro di autocoscienza e chiarezza su quale fosse il mio vero nome.

Il mio nome è Gioia.

La mia autobiografia inizierà da qui, un viaggio di cui non conosco la destinazione, ma il senso è scritto in ogni passo vissuto da oggi in poi. La bellezza è nel viaggio e che sia il più dilatato possibile nell’amore per me stessa, le persone e la vita. E la lunghezza la stabilisce il cuore, non i giorni che passano.

Ecco la mia filosofia, pensieri e storia che disegnerò sull’acqua e la memoria la fisserò su carta perché sia visibile, ne possa leggere i segreti, interpretarne i simboli vitali. È la strada interiore ed esteriore da cui partorirò le parole della mia autobiografia.

Pertanto, è tra i cristalli della mia essenza corporea e spirituale che ne verrà serbata la traccia indelebile e che solo attraverso scrittura del mio libro ne potrò, un giorno, lasciare la testimonianza a chi amo e a chi verrà dopo di me.

Quando ti metterai in viaggio per Itaca

devi augurarti che la strada sia lunga,

fertile in avventure e in esperienze.

I Lestrigoni e i Ciclopi

o la furia di Nettuno non temere,

non sarà questo il genere di incontri

se il pensiero resta alto e un sentimento

fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.

(da “Itaca” di Costantino Kavafis)

È questo, in fondo, quello che ho imparato dai miei lunghi anni e che rifocilleranno i rimanenti di nuova linfa vitale: il senso della vita è nella vita stessa, nel viaggio che attraversiamo, tra tempeste da cui non sappiamo mai come ne usciremo e le conquiste di alte vette che credevamo insormontabili, a causa delle nostre paure e fragilità.

Allora basta, cos’altro posso dire e che l’acqua mi suggerisce, quando curiosa cerco di definirne i contorni di una storia tra le sue onde fragili, ma potenti?

Accolgo il viaggio per quello che è, vivo la mia esistenza così come è, come un insieme di esperienze uniche, irripetibili, casuali e caotiche che forgiano in maniera singolare e irrimediabile la mia essenza di donna del suo tempo, con addosso il suo vero nome.

Il mio nome è Gioia, inciso in questo mio cuore in espansione.

Lascia un commento