
1. DALL’EMANCIPAZIONE A UN FEMMINISMO DI SCELTA

Avverto l’urgenza di far chiarezza in questo tempo di profondi cambiamenti sociali, politici, climatici, ma anche personali, da quando un morbo infestante ci ha costretti a rivedere le nostre vite, le nostre priorità. Sono attanagliata da dubbi feroci perché, tra tanti cambiamenti, se leggo le cronache, i social, i giornali, persino la letteratura contemporanea, c’è una sola cosa che ancora è dura a morire e che ancor di più invade le coscienze deviate: la cultura dello stupro.
Eppure abbiamo avuto la fortuna di ascoltare un’intellettuale dalla potenza di Michela Murgia che ha aperto la strada a un cambiamento nella considerazione che oggi le donne devono avere di loro stesse, che deve averne la società tutta: non siamo più in lotta per l’emancipazione (a lei questo termine non piaceva), questo traguardo credo lo abbiamo ormai raggiunto, abbiamo libero accesso agli studi elevati, alle carriere più prestigiose che un tempo erano in appannaggio solo degli uomini.
È invece importante cercare di un senso di riscatto personale, una ricerca di identità che possa essere allineata con la visione che abbiamo di noi come persone nell’ambiente, nel mondo intorno a noi, e non farne solo una questione esclusivamente di genere.
Desidero far carriera perché ho qualcosa da dimostrare agli altri in quanto donna o perché lo merito e corrisponde alla strada che ho scelto per me?
Vedete quanto è importante comprendere il senso delle parole che potrebbero definire chi siamo, il nostro destino e condizionare le scelte importanti per la nostra vita.
Si dovrebbe essere quindi superato il senso della parola “emancipazione” che ha una grande valenza di diritto, sociale ed economica, per poter evolvere verso una maggiore consapevolezza di chi vogliamo essere.
La Murgia ci ha proposto, soprattutto negli ultimi anni, un “femminismo di scelta”, per vivere esperienze di autenticità, per ricercare l’immagine di noi stesse che più corrisponde ai nostri desideri, libere da quel “patriarcale” senso di colpa che ci affligge da secoli e che relega in secondo piano il diritto di noi donne di essere felici e di provare piacere (non solo in camera da letto) in nome di un ruolo familiare, in continuo contrasto con la realizzazione personale e professionale.
Esempio tra i tanti, c’è da riflettere perché è importante per un giornalista chiedere ad un astronauta di sesso femminile, in missione sulla base internazionale spaziale: “Ma con i figli come fa?” e come mai questa domanda non è posta agli astronauti di sesso maschile.
È di certo una domanda che tenderebbe a far sentire la donna professionista inadeguata, spingendo sui sensi di colpa di una madre-donna in carriera: la risposta dell’astronauta ha dimostrato una grande intelligenza emotiva, sottolineando che nella gestione dei figli esiste anche un padre, ma non tutte le donne vivono le loro scelte professionali all’interno del nucleo familiare con la stessa serenità e forza, spesso manca tra i partners il senso paritario di collaborazione nella suddivisione delle responsabilità di cura verso i figli.
Ma forse vi domanderete se tutto quanto detto finora non sia attinente al tema della cultura dello stupro, cosa implica ragionare di conciliare carriera e figli quando ci sono donne che vengono violentate quasi ogni giorno da un branco di maschi deviati che nulla hanno a che fare con il resto di uomini dai sani principi morali
Lo è eccome e nessuno vuole mettere in dubbio, tantomeno la sottoscritta, che esistano uomini meravigliosi e con cui vivere relazioni vivificanti d’amore e d’amicizia o di collaborazione professionale, ne conosco e ne ho conosciuti parecchi nella mia vita, ma qualcosa non funziona nella nostra società e ne dobbiamo prendere consapevolezza per spezzare alla radice la violenza di genere o rischiamo di scadere nella purtroppo nota “banalità del male” che nel passato ha infestato molte società, anche la nostra.
In verità stiamo parlando di senso delle parole in una cultura ben definita in cui una donna deve sempre e comunque giustificare sé stessa nel mondo, nel ruolo che riveste, nell’avanzamento di carriera, fino al caso estremo in cui viene costretta a “giustificare” il suo essere vittima agli inquirenti, in tribunale, tra la gente.
La matrice culturale è identica.
E secondo questa matrice, se la donna subisce uno stupro è sempre perché ha messo in atto comportamenti che la cultura patriarcale stigmatizza non consoni: uscire la sera tardi, divertirsi, ubriacarsi a una festa, vestirsi in modo libero e provocante non rientrano nella definizione di “donna per bene” che è prima di tutto colei che sarà genitrice e portatrice di un dono sacro che non può essere violato.
Devi essere tu, donna, a consacrarlo, a proteggerlo prima di tutto da te stessa, sei tu la “vestale” della tua vagina.
È così, donna, sei tu che metti in pericolo te stessa, alla stregua di un Cappuccetto Rosso moderno che si prende la libertà di attraversare il “bosco” della sua esistenza, di creare lei stessa la condizione per cui il “lupo” è pronto a sbranarla.
Ecco qual è il pensare comune, anche di chi non lo ammette nemmeno alla propria coscienza, ecco dove ancora siamo tutti, uomini e donne.
Nessuno giustifica il “mostro”, per carità, però…
Esatto, c’è il “però” che aleggia nelle nostre teste, in fondo vogliamo solo proteggere le giovani donne dai pericolo di incappare nel “lupo” e nessun genitore si sognerebbe di invogliare le proprie figlie agli eccessi, ma quando, mi chiedo, inizieremo a sottolineare il fatto che, come genitori, dovremo instradare i nostri figli maschi verso una maggiore consapevolezza di come sia giusto comportarsi nelle relazioni con le ragazze?
Quando ammetteremo che qualcosa abbiamo sbagliato e che “i mostri” li abbiamo generati noi tutti, questo vorrei leggere in un articolo di giornale o tra i commenti sui social, al posto della ormai famigerata frase “in fondo se l’è cercata”?
E attenti, la frase non sempre è esplicita, quasi mai, ma si nasconde dietro il rimarcare preciso di come era vestita, se era ubriaca e come si comportava, mentre, di contro, si legge spesso nei confronti degli stupratori, secondo le testimonianze raccolte, “ma erano bravi ragazzi, di buona educazione e famiglia, non si erano mai comportati così” …e chi li avrebbe costretti a comportarsi così? La vittima?
Insegniamo ai ragazzi, una volta per tutte e in modo chiaro, preciso, che il “NO” vuol dire “NO”, che se una ragazza è ubriaca o è sotto l’effetto di droghe tu l’accompagni a casa, chiami i genitori e non esiste nessun istinto bestiale che ti autorizzata ad abusarne perché lo vuoi tu, o peggio un diritto distorto di potere su chi ritieni oggetto dei tuoi appetiti sessuali o tua proprietà in nome di un amore malato e possessivo, ma esiste un più elevato senso morale e di umanità che dovrebbe mettere a tacere il “lupo” che abita in ogni uomo di sani principi spirituali.
Spirituali perché la cura dell’anima è la fonte per esistere in quanto uomini e donne liberi da ogni ipocrisia e falsi perbenismi, catene culturali che ci impediscono di scegliere secondo nostra coscienza e non secondo paradigmi di una cultura patriarcale deviata: sono i valori che ci distinguono dalle bestie, da quegli istinti primordiali che appartengono alla nostra natura ancestrale e che l’evoluzione della nostra specie ci consente di poter gestire e controllare nella giusta direzione.
L’istinto sessuale, l’eccitazione e la ricerca del piacere è naturale che ci sia, non è naturale esercitare il richiamo a istinti di predominio su chi riteniamo più debole in quanto siamo esseri spirituali e non lupi in cerca di una preda da possedere.
Sembra un concetto semplice e condivisibile, allora perché sento l’esigenza, come donna, ma soprattutto come persona, al di là del sesso di appartenenza, di doverlo rimarcare, di dover sottolineare con le parole ciò che dovrebbe essere parte di noi?
Possiamo avere valori diversi, fedi religiose diverse, idee contrapposte, ma questa legge universale di amore e rispetto tra uomo e donna non dovrebbe essere divisiva, ma condivisa, una legge che unisce e apre al dialogo, all’alleanza tra i generi.
La risposta è nella storia, se ripercorro le tappe fondamentali del nostro passato, la cultura dello stupro e i suoi stereotipi, che spesso ritroviamo persino nelle aule di giustizia, affonda le radici sin dai tempi dell’antichità (saranno temi che approfondirò nei prossimi due articoli).
È importante prendere consapevolezza del peso che le parole hanno nella narrazione di una storia di violenza e abuso e che hanno origine sin dall’antichità, perché la vittima va tutelata da ognuno di noi, non solo dalle istituzioni o dai servizi sociali.
Tutti siamo responsabili, nel mondo globale dei social, di come usiamo la libertà di pensiero nei confronti di chi ha subito uno stupro e ha bisogno di ritrovare la propria dignità di persona e il proprio equilibrio interiore, ha bisogno di ritrovare pace e speranza di essere felice, non oggi forse, ma almeno domani.
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