IL TEMPO MIGLIORE DELLA MIA VITA

GRAZIE MICHELA MURGIA

Sei andata via, cara Michela.

Sapevo che sarebbe successo, il tuo era un viaggio annunciato, eppure la notizia mi ha attraversata come un crampo allo stomaco che ti lascia senza fiato.

Tante persone ci lasciano, persone che con la loro arte o il loro lavoro tracciano una strada, ci appassionano, ci aprono la mente a passaggi interiori che da soli non sempre si ha il coraggio di superare, non così al buio, senza una visione profonda di chi vorremo essere.

Però ieri qualcosa si è fermato, il mio orologio biologico ha rallentato il suo ticchettio e sono scesa dal mio viaggio esistenziale per stare un po’ insieme a te.

Tra le tante interviste e interventi che negli ultimi mesi ci hai lasciato in eredità, con quella frenesia che prende chi sa di non avere molto tempo davanti a sé, ho scelto quella che hai rilasciato al direttore di Vanity Fair, un’ora in cui hai condiviso la tua vita, i tuoi sogni, la tua idea di famiglia, di amore condiviso… e meglio ancora la donna che sei oggi, bella come tu stessa non credevi di essere.

Ti sei messa in gioco ancora una volta, divertendoti ad essere una fotomodella, forse per raccontarci, attraverso l’immagine, un messaggio fondamentale che non sempre sappiamo cogliere, se non siamo liberi da pregiudizi: “la moda è un linguaggio che può trasmettere dei contenuti liberatori, di innovazione rispetto al costume, alla visione del mondo…”

E in un’ora hai aperto tante finestre, su te stessa e sulla società che, con determinazione e “cazzimma” (in senso buono del termine), hai tentato di rendere migliore, eppure hai anche saputo mostrare quel tuo lato a noi sconosciuto, quel pudore ingenuo che si è liberato davanti all’obiettivo, mostrando una bellezza che molte modelle non hanno: la bellezza di una donna che vive il tempo migliore della sua vita, quando non ha nulla da perdere e nulla più di cui aver paura.

È stata un’ora trascorsa con leggerezza, come tu sai rendere ogni dialogo, anche il più incalzante, quando a nessuno consenti di metterti a tacere, per il tuo essere donna contemporanea, femminista e attivista, ma con un’anima antica di quelle madri che hanno lottato con il dolore sulla carne, nel silenzio di giorni sempre uguali, se non trovi il coraggio di andar via.

“… ma non aspettate di avere un cancro!” – è un monito quasi disperato, il tuo, perché nessuna di noi possa perdersi il sapore selvatico della vita, fuori dalle logiche patriarcali di una società in cui noi donne, ogni giorno, lottiamo per avere il nostro spazio come persone, non più determinate da un ruolo, ma dai nostri sogni, da un talento che ci appartiene e che merita di essere visto.

Noi meritiamo di essere viste! E tu ce lo hai insegnato.

Hai raccontato il tuo essere bambina, la tua rabbia verso un padre violento che non perdoni e ti prendi il diritto di scegliere il “non perdono” per onorare chi ti ha amato: tua madre, tua zia, tua nonna, le donne che ti hanno cresciuto, ognuna donandoti il seme che portava in seno, ognuna secondo il suo modo di essere e per i valori in cui credeva.

Per questo ti sei definita “figlia di anima” e, per lo stesso amore, sei diventata “madre di anima”, libera di accogliere figli che non ti appartengono, perché uniti da legami di cuori che si scelgono e si riconoscono, fuori dalle logiche del “sangue”.

 In questa storia hai imparato, a tue spese, che “il dolore bisogna guardarlo dritto negli occhi, non bisogna averne paura e bisogna dargli un nome” se vuoi essere felice.

E per costruire la donna che oggi conosciamo, sei andata via dalla tua terra, ne avevi la profonda necessità. Non è stato facile rinascere da te stessa, lontana dalle tue radici per costruirne di nuove, una fuga spesso chiede coraggio perché è l’unico modo per rimanere vivi e ricominciare.

Hai raccontato tante cose, con il sorriso e quel fondo di ironia che ti contraddistingue e alleggerisce ciò che non sempre è facile raccontare, lo capisco.

Sei forte, lo hai dimostrato a dispetto delle critiche di chi ti ha osteggiato e, senza preoccuparti della gente, hai scelto la tua morte che parlasse di vita, perché in fondo è l’unica certezza che abbiamo e bisogna oltrepassarla con la giusta consapevolezza di sé.

Ma quanta fragilità, Michela cara, ho pianto con te nei momenti in cui la tua voce si è spezzata davanti la telecamera e lo sguardo l’ho visto carico di lacrime nascoste, quando hai parlato della tua famiglia “allargata” e degli ultimi momenti che avreste vissuto insieme: sono uomini e donne con cui hai condiviso i passi più importanti della tua vita terrena, le scelte controverse che nessuno ha il diritto di giudicare, ma solo di accogliere e onorare in questo tuo ultimo viaggio.

“Questo è il tempo migliore della mia vita”, non potevi trovare parole più giuste per raccontare la tua felicità, nonostante la paura del dolore e non posso che dirti grazie, grazie di averlo condiviso con tutti noi.

Grazie, infine, perché il mio tempo migliore l’ho conosciuto oggi e, se qualche dubbio mi attraversa, mi basta ascoltarti: sei ancora qui, a raccontarlo ogni giorno con i lasciti del tuo cuore, che questa vita è oggi che va vissuta, per le persone che siamo e per chi amiamo, un oggi che sarà ieri e che è stato il domani sognato.

Ci sarà però quella “soglia”, come tu dici, che ci lascerà sempre una via di libertà, perché il verbo “potere” a volte imprigiona, quando conquistiamo i nostri spazi, se non siamo accoglienti verso l’altro, o pronti a partire per nuovi paesaggi interiori da scoprire e storie da assaporare e raccontare.

Ciao Michela.

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