
Il viaggio è l’esperienza che ci pone in contatto con altre culture, indispensabile se vogliamo capire il mondo e chi lo abita, e riconoscersi in chi è “altro” da noi.
E la scoperta di territori incontaminati, paesaggi naturali di rara bellezza o la possibilità di vivere incontri con gente “esotica” che vive lontana dalla nostra zona di confort, genera in noi emozioni, stupore, apre la mente a una visione alternativa alla nostra routine quotidiana.
Ma esistono studiosi di linguistica che affermano come le parole possono offrirci una percezione del mondo più profonda, possono addirittura plasmare il nostro sguardo verso una visione autentica del nostro viaggiare.
Lo psicologo Tim Lomas, ad esempio, può essere considerato, secondo questa strana idea, un’ottima “guida turistica”, in quanto ha collezionato un agglomerato di vocaboli, estrapolati da svariate culture ed etnie, che possono considerarsi portatori “sani” di emozioni, sogni, desideri, come fosse un vero e proprio “glossario” di sentimenti di ogni comunità terrena e marittima.
Insomma, le parole sono indispensabili per tracciare in modo concreto la mappa delle nostre emozioni, per definire cioè il mondo interiore di ciascuno: è un viaggio che oltrepassa le frontiere del visuale e arriva nelle profondità dell’animo umano.
E le parole uniscono tra loro le persone di ogni cultura e credo, sono quasi impossibili da tradurre, perché afferiscono a una realtà che unisce l’identità individuale al territorio, ma trovano la loro condivisione nel vissuto delle emozioni trasmesse.
Nella collezione di Lomas possiamo, ad esempio, trovare una parola come “uolof teraanga”, un termine che indica l’ospitalità e la generosità del popolo senegalese, un’esperienza che ogni viaggiatore può vivere e apprendere attraverso il linguaggio ancor prima di partire o, in tempo di pandemia, scoprendolo a casa, per oltrepassare la paura di esistere, prigionieri in confini invalicabili.
Infatti, è così, lo studio delle lingue straniere è un viaggio nelle culture, sono itinerari che aprono la mente alla comunicazione verbale ed emozionale tra chi è agli antipodi della terra.
Ovvio che la collezione di Lomas non è un semplice studio di una lingua, tutti studiamo l’inglese, ma fermarsi a ciò limiteremmo la nostra prospettiva, perché se desideriamo comprenderci tra noi abitanti del mondo, sarebbe bene conoscere le diverse culture, le modalità di come si vivono le emozioni e come esse vengono “chiamate” attraverso il linguaggio corale di ogni popolo.
Viaggiare tra parole ed emozioni potrebbe essere davvero l’ultima frontiera da abbattere per realizzare una società aperta, inclusiva e ospitale verso ogni forma di pensiero e tradizione.
SE VUOI VIAGGIARE, LA PAROLA GIUSTA È PROGETTO!

Se ripenso alla mia infanzia, ciò che capivo del mondo intorno a me, era che per vivere bisognava sacrificarsi, lavorare tanto per mangiare e vestirsi, non aveva importanza cosa si facesse, purché si potesse stare bene senza aver paura di non avere più un luogo dove abitare.
E rispettavo mio padre per il duro lavoro fuori casa e mia madre per la cura familiare.
Viaggiare per i primi anni era impensabile, la prima vacanza fuori Roma la vivemmo che io avevo già nove anni: andammo in un piccolo paese del Lazio, Soriano del Cimino, e ci pensò mio padre, con le sue parole cariche di passione e curiosità, a rendere il soggiorno meno noioso.
La parola “progetto” era sconosciuta, significava avere un sogno da realizzare, ma non c’era la certezza di poterlo raggiungere, considerate le scarse risorse di allora.
Pertanto, imparai presto a darmi da fare, studiare e non avere troppe aspettative, sperare in un buon lavoro poteva bastare.
Invece di progetti ne ho avuti, ma ciò che ho scoperto oggi alla mia età è che “progetto” è una parola che ti apre una opportunità nuova dentro di te, innanzitutto: progetto è una meta da raggiungere, è un’energia da mettere in movimento per camminare spediti verso la direzione scelta.
Ed è importante vivere il qui e ora, ascoltare le proprie emozioni, chiamarle per nome e ritrovarle oltre noi stessi nel mondo.
In definitiva il viaggio lo scegli, come scegli il progetto che ti conduce fuori dai tuoi confini abitativi e interiori per aprire le porte alle relazioni, alla scoperta, al dialogo.
CONFINE, LA PAROLA CHE IDENTIFICA CHI SIAMO

Viaggiare è oltrepassare i confini del conosciuto per avventurarsi nell’ignoto, al di là delle nostre antiche paure.
Ma cosa vuol dire confine?
In geografia esistono confini naturali e politici che identificano un territorio e una nazione, ma i confini più importanti sono dentro noi stessi: quando scopriamo chi siamo, abbiamo la netta consapevolezza che possiamo superarli per avvicinarci all’altro, a chi è diverso da noi.
I confini interiori non sempre sono così chiari come in geografia, magari a volte siamo portati a identificarci con chi amiamo, ma la cosa strabiliante è che, una volta scoperti, è bello poter valicare ciò che ci “confina”, che ci limita nell’essere liberi, perché impariamo a comprendere come le reali catene spesso ce le imponiamo da soli.
E la scoperta più grande è che superare quei confini e immergersi nell’esperienza dell’altro, oltre noi stessi, non significa perdere la propria identità, tutt’altro.
In definitiva, il viaggio ci permette di sperimentare la parola confine, quando, sormontandolo, conduce noi stessi verso orizzonti che ci arricchiranno la mente e apriranno nuove prospettive.
Saremo quindi persone in continuo cambiamento e non ha importanza dove e quando si arriverà alla meta prescelta, perché chi siamo si forma attraverso il vivere tante esperienze, fuori dai nostri confini sia fisici che interiori.
Come l’identità di un popolo si fonda e si approfonda nel dialogo sociale tra le diverse culture, così la nostra identità personale si forgia nelle relazioni con le persone, nell’incontro con chi è differente da noi.
LE PAROLE CHE RACCONTANO LA FELICITÀ DEL VIAGGIO

La scrittrice Kate Hodges nel suo libro “Wild Words” ha raccolto più di settanta vocaboli appartenenti a culture diverse e che sono l’espressione di sensazioni vissute, a contatto con la natura o quando siamo in esplorazione di luoghi vicini e lontani.
Non posso dirveli tutti, ognuno di voi, se ha la curiosità di leggerlo, troverà la parola che più di tutte possa raccontare la felicità provata durante un’esperienza di viaggio, o più semplicemente, quando si assapora un momento intimo di contatto con la natura che abbiamo a due passi da noi e che, spesso, trascuriamo per distrazione.
Pensate a cosa si prova ad abbracciare un albero, quale termine usereste per definire questo estremo abbandono all’amore di una creatura che ci regala il respiro ossigenante della vita?
E quanto bella è la sensazione della carezza rinfrescante del vento nelle ore di calura estiva?
Una parola che questa scrittrice ha scovato nel mondo ve la voglio però svelare e appartiene alla nostra lingua italica: “meriggiare”!
Montale, attraverso la suggestione poetica, ce lo racconta così:
“il meriggiare pallido e assorto” … quando il sole è sopra la testa e cerchiamo il ristoro dell’ombra.
Io, che sono donna del Sud, il meriggiare lo conosco bene e rammento le sensazioni vissute, quando da piccola ero in visita dai miei nonni a santa Maria Capua Vetere, un paese del casertano: è il periodo della giornata dedicato alla “controra”, il ritmo rallenta, ogni fruscio di foglia e il canto delle cicale diventano l’unico suono che ci accompagna al riposo nelle ore più calde, mentre siamo sul letto tra le lenzuola fresche di bucato e le persiane accostate, per ripararci dai raggi cocenti del sole.
CONCLUSIONE

Il senso reale dell’articolo è che a volte non servono molte parole, ma una sola e profonda, che affonda le radici nelle nostre memorie, per raccontare l’emozione di un viaggio, come, in effetti, sono sufficienti poche cose per sentirsi parte dell’universo.
Immaginate di essere nel tepore della vostra stanza, mentre fuori piove e c’è freddo: tutto resta in attesa, una tisana calda e lo sguardo si perde oltre la finestra, come se da quella visione dipendesse la semplice felicità di osservare la vita che vibra fuori, nell’intemperia, nella paura.
Tutti noi abbiamo un posto che significa equilibrio, armonia, un posto dove ci sentiamo a casa anche lontani dal nostro ambiente e ce lo portiamo dentro: troviamo insieme quella parola unica e speciale che esprime la felicità del nostro viaggio e scriviamola, portiamola con noi ovunque andremo, per condividerla con chi sarà nostro compagno di avventura.
O per affidarla a chi verrà dopo di noi, dietro i nostri passi.
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