L’IRONIA NELLA SCRITTURA

UNA VOCE DA SCOPRIRE A PICCOLE DOSI, COME UNA TAZZINA DI CAFFÈ

L’ironia è un’amica strana, si è presentata un giorno nella mia vita, senza che me ne accorgessi e mi ha offerto una nuova visione di me stessa e del mondo circostante.

“Galeotta fu una tazzina di caffè”, così Carlotta afferma nel prologo del mio romanzo che uscirà tra qualche mese, in ricordo di un’ispirazione che nacque anni fa, quando scrissi un racconto per un concorso letterario sponsorizzato da una nota marca di caffè.

Infatti, se ci pensate, l’ironia è come il caffè, ha quella punta di amarezza, perché tutto sommato comprendi che dal dolore non sempre puoi svicolare, è parte di te, del tuo quotidiano, ma c’è nel fondo quella fragranza che ti rianima le viscere, ti accende il sorriso dalla pancia e ti offre un’altra opportunità.

Allora comprendi come sia possibile cambiare la prospettiva delle cose e prenderti la tua rivincita sulla vita, perché se puoi ironizzare su te stesso, vuol dire che sei vivo e puoi con libertà ricominciare dalla persona bellissima che sei, senza più paura di guardarti allo specchio o di essere giudicato dagli altri.

Ma cosa ha significato scoprire nella scrittura la mia autentica voce letteraria?

L’ironia l’ho scoperta a piccole dosi, come quando, appunto, sorseggi una bollente tazzina di caffè: stavo attraversando un momento di crisi, avevo al mio attivo due romanzi, diversi racconti, in continua ricerca di una mia strada nell’intricato mondo editoriale, ma qualcosa mancava in questo carosello disordinato di creatività letteraria.

In realtà mi mancava una traccia, una visione ben chiara di chi volessi essere come donna ultracinquantenne, dopo anni e anni di sacrifici andati in fumo, perché tutto quello che avevo costruito non aveva più senso per me, o almeno non sapevo offrire a me stessa una chiave di lettura soddisfacente della mia storia.

L’unica cosa che avevo ben chiaro era che volevo vivere di scrittura, delle storie che mi respiravano dentro e che, alla fine, sentivo morire tra le pagine bianche del computer.

Studiavo, leggevo in modo compulsivo anche due libri per volta, alla continua ricerca della parola giusta, quella che fa la differenza quando crei un personaggio o vicende che possano emozionare il lettore, ma a me l’emozione non arrivava, rimaneva lì, in un punto del corpo indefinito e tutto risultava artefatto, non vero.

Poi, un giorno, mi sono presa una vacanza da me stessa, da questa frenetica ricerca del mio mood letterario, avevo bisogno di leggerezza, di ridere e fottermene di essere una scrittrice di talento.

Così lessi di questo concorso letterario in cui il racconto da presentare doveva essere ispirato alla tazzina di caffè e iniziai a scrivere, fregandomene di regole imposte: le parole uscivano libere dalla mia testa come un fiume indisciplinato, ripercorrendo, pagina dopo pagina, alcune tappe fondamentali della mia vita.

Avevo tre giorni di tempo, ma ne bastarono due per partorire il racconto più divertente e folle che avessi mai scritto: nacque “Elogio alla tazzina di caffè”, un racconto ironico e autoironico in cui non mi sentivo più sconfitta per le sofferenze e gli ostacoli che ho dovuto attraversare nel passato.

Alla fine, era tutto stato vissuto come un mare necessario da navigare, se volevo approdare dove ho sempre desiderato essere.

Una tazzina di caffè e tutto tornava a girare come sempre.

Mi resi così conto, attraverso uno sguardo più disincantato sulla donna che ero stata, che la vita passata era solo mia e nessun altro avrebbe mai più dovuto dirmi cosa fosse giusto per me scegliere.

E mentre scrivevo, vomitando pensieri inespressi, mi accorsi di essere una navigatrice fottutamente brava e che ci sapeva fare tra onde impetuose e tempeste di quel che era stata la mia esistenza sin da bambina, ma era arrivato il tempo di far pace con il passato e lasciarlo andare, di mollare gli ormeggi e scrivere un’altra storia.

Insomma, un senso di libertà mai provata sulla tastiera mi invase, il racconto ebbe successo, non vinse, ma arrivò tra i primi dieci: fu un segnale preciso, una svolta che mi aprì una nuova consapevolezza di me stessa come donna e come autrice.

“IL RE È NUDO!”

Come nella favola, quando sei svicolata dal pregiudizio di cosa gli altri vedono di te e della realtà, allora non hai nulla da temere e puoi ridere a crepapelle di sfighe e vicissitudini più o meno imbarazzanti, ma non solo: ho persino imparato a sfottere la morte perché nulla più mi sarei persa di questa insensata esperienza terrena.

E, se ci rifletto, tante cose in effetti ho perso ieri, qualcosa forse perderò ancora, ma quando la scrittura ti costringe a scavarti dentro, a tirar fuori la voce unica che ti appartiene, non puoi più rimanere sorda al richiamo della vita, di quella vita che ogni giorno assaporo in pienezza, tra mille dubbi e incazzature, tra passione e voglie inconfessate, tra incontri inaspettati e abbracci tanto attesi.

Certo l’ironia in scrittura ha un suo codice ben definito e se ne parla sin dai tempi dell’antichità: se leggiamo i “Dialoghi” di Platone, Socrate si diletta in un largo uso di ironia, una strategia dialettica attraverso cui, facendo il “finto tonto” con una parabola di domande su domande, costringeva gli interlocutori, i cosiddetti “sapienti”, ad ammettere di non sapere nulla.

Infatti, derivato dal greco “eironéia”, il termine ci riconduce a una sorta di inganno, di gioco di parole dal senso opposto con cui dissimuliamo un nostro pensiero, tanto da deridere persino noi stessi per raggiungere un obiettivo più elevato: far nascere un’idea o, meglio ancora, aprire gli occhi su una verità nascosta.

E per me ha significato conoscere la verità segreta di una natura preziosa che da sempre trasportavo nel ventre, ma che non ero mai stata capace di partorire alla luce della consapevolezza.

Aristotele ha persino indicato la “grandezza d’animo” dell’ironico, io me ne guardo bene da sentirmi così perfetta, per carità, ma è grazie alla messa alla berlina delle mie idiosincrasie quotidiane nei confronti dell’umanità, che mi circondava sin dall’infanzia, che sono riuscita a far spazio dentro me, perché qualcosa di grande potesse accadermi oggi, seppur a questa veneranda età.

Insomma, come stato mentale, l’ironia ha cambiato il segno alla mia condizione, da negativo a positivo, l’ansia è stata sostituita dalla fiducia in me stessa, la rabbia dall’indulgenza, così che tutto ciò che finora mi risultava ostile, intollerante potesse trasformarsi in leggerezza.

Voltaire stesso ci parla della funzione salvifica dell’ironia affermando che “tutto ciò che è diventato ridicolo non può essere pericoloso”.

Pensate che l’ironia è oggi usata anche come strumento terapeutico, perché ridere di qualcosa che ci opprime, anche solo per un tempo limitato, decomprime dentro noi la tensione che si accumula e rischia di farci ammalare.

Combatti la tristezza con la risata, ridi a pieni polmoni e anche le tue cellule ti renderanno grazie, credetemi!

CONCLUSIONE

Liberiamo noi stessi da orgogli dolorosi, ridiamo e l’anima potrà respirare libera.

Ed è così che mi vedo, libera finalmente, incamminata verso un percorso in cui l’ironia ha significato l’uscita da un tunnel, per poter guardare con fiducia a un nuovo inizio, una storia futura che già sto scrivendo perché è oggi che vivo in pienezza la mia vita, non più ieri, non domani.

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