LA VITA DI UN GHOSTWRITER DIETRO LE STORIE DEGLI ALTRI

“E tu cosa vorresti fare?”
“Non lo so”
“Avrai qualche idea?”
A quel punto il ragazzo non può più aggirare la domanda e confessa: “Vorrei soltanto scrivere”.

È un dialogo estratto dal romanzo di J.R. Moehringer “Il Bar Delle Grandi Speranze”, dove l’autore ripercorre gli anni della sua giovinezza, quando per lui un padre dalla presenza impalpabile, era solo una voce radiofonica che ascoltava ogni sera, un appuntamento fisso tra loro, come se parlasse solo a lui e non al mondo intero.
Finché un giorno quella voce non si spense per sempre e restò solo.
Allora tante figure di padri si alternarono in quel bar, un luogo variegato dove la sua anima solitaria di ragazzo cercava tra gli avventori di stabilire un legame speciale, nella speranza vana che potesse definire per il futuro la propria identità di uomo.
Negli anni che seguirono, quel sogno di diventare scrittore Moehringer alla fine lo ha realizzato ad alti livelli di valore, perché è così che doveva andare la sua vita, e imparò sulla propria pelle che una storia diventa grande letteratura solo se con lo stile ci sai fare da fuoriclasse.
Ed ha iniziato a costruire la propria visione dal nulla, respirando il profumo della carta stampata dei giornali come semplice fattorino per il Los Angeles Times, dove poi diventerà corrispondente, un passaggio evolutivo importante che definirà la sua indole di narratore di storie.
I primi anni nel giornalismo lo hanno forgiato quale scrittore attento ai particolari, fino alla profondità di anime estinte che ancora respirano attraverso la pelle di chi vive oggi nel mondo, andando alla ricerca di quelle storie che nessuno avrebbe mai pensato di scrivere: Moehringer vince così nel 2000 il premio Pulitzer per il giornalismo di approfondimento e costume quando, con il suo reportage Gee’s Bend, traccia il ritratto di un’isolata comunità fluviale nell’Alabama, dove ancora vivono i discendenti degli schiavi deportati dall’Africa.
È una storia che cambia prospettiva perché un semplice traghetto potrà ricongiungere quell’universo nascosto alla speranza di una vita migliore e lui ne ha saputo cogliere le molteplici sfaccettature, nascoste tra memorie e aspettative.
Un talento formidabile, non ci sono dubbi, uno scrittore di grande esperienza sia letteraria che giornalistica, ma non saranno i suoi romanzi a renderlo famoso in tutto il mondo, se consideriamo che, dopo il primo scritto nel 2005, ne ha al suo attivo soltanto quattro, prodotti tra il 2012 e il 2016: la vera fama arrivò per Moehringer da un’altra direzione, quando un giorno divenne il ghostwriter più pagato nell’universo letterario.
Moehringer e Agassi: la storia di un fuoriclasse che odiava il tennis

Sono gli incontri che ti cambiano l’esistenza, o un libro, come un romanzo di formazione, pregno di malinconia, alla continua ricerca di un padre che non tornerà mai: l’incontro tra Agassi e Moehringer avverrà proprio tra le pagine di quel romanzo, perché qualcosa è risuonato nella mente del tennista mentre lo legge d’un fiato, come una voce interiore che gli racconta una storia già vissuta.
Agassi cercherà Moehringer perché ha bisogno che si faccia ordine tra la sua storia sportiva e quella privata, due storie che si intersecano, si combattono, si amano e che lo hanno formato nella spasmodica ricerca di se stesso, cresciuto da bambino all’ombra di un padre “carnefice”, un padre che, alla fine, ha imparato a perdonare e ad amare per l’uomo che è stato.
E solo uno scrittore che ha, tra le righe di una narrazione, attraversato un tormento simile, sarebbe stato in grado di interpretare in modo autentico e coinvolgente una storia vissuta nel dolore della carne viva e nella gioia di un amore a lungo cercato.
Così Moehringer ha costruito un metodo particolare che potesse far confluire nelle pagine di un libro l’anima dell’uomo Agassi, dietro la consueta narrazione giornalistica, attenta alle vittorie e alle cadute di un mito, ma sorda e cieca ai conflitti profondi e alle attese di una felicità sempre più impalpabile che alimentano, nel segreto, la grandezza di un talento.
Da questo connubio tra il mito e uno scrittore, nasce “Open” l’autobiografia di Agassi, costruita grazie a un’attenta analisi delle fonti, a cominciare dalla storia personale e affettiva, fino a “sbobinare”, partita dopo partita, il percorso professionale del tennista: Moehringer scava in ogni piega di quella storia, seguendo un itinerario psicoanalitico, suggerito dalle letture approfondite di Jung, quasi come fosse l’ombra stessa dell’uomo.
E dovrà aver fiducia Agassi, affidare allo scrittore quei sentimenti contrastanti che per anni ha negato a sé stesso: l’amore-odio per il tennis, uno sport senza il quale non era nessuno per il mondo e per sé stesso.
E l’amore-odio ossessivo per un padre da cui per anni è fuggito, cercandolo però dentro sé dopo ogni traguardo conquistato, consapevole che senza quella presenza ingombrante e autoritaria non avrebbe mai raggiunto l’eccellenza, come professionista e come uomo.
Ma l’abilità del ghostwriter va ben oltre l’interpretazione di voce narrante: ho letto “Open” e posso affermare che ogni pagina diventava per me un viaggio nella fragilità di un mito, sudando io stessa insieme a lui ad ogni colpo di racchetta come fossi lì, su quel campo.
Ogni fitta dolorosa mi entrava nel corpo, ogni sconfitta mi lacerava l’anima dalla rabbia, eppure non ho mai capito il tennis nelle sue logiche, nei suoi riti, quel silenzio assurdo mi infastidiva e non riuscivo sempre a seguire fino in fondo una partita: ora però ho capito perché ci vuole silenzio, non è per proteggere la concentrazione dell’atleta da distrazioni esterne, ma è per assorbire ogni respiro, ogni lamento, ogni grido di rabbia quando scaglia con forza la pallina oltre quella rete, come se tutta la vita dovesse dipendere da quel gesto di forza e disperazione.
Moehringer ha trascinato me lettrice dentro la parabola ascendente di un uomo, riemerso vincente dalle ceneri e dalla solitudine imposta da un ruolo a cui non fu mai capace di sottrarsi, perché il tennis era tutto quello che aveva: altro non era in grado di essere se non Agassi, il grande campione.
Rinascere ha significato per Agassi accogliere gli errori della sua vita, come aver rinnegato il valore dell’istruzione, quale arma vincente di libertà: così comprese che, quanto aveva rinunciato per se stesso, avrebbe potuto donarlo agli altri, a quei ragazzi senza futuro, grazie alla ricchezza guadagnata dopo anni di sacrificio e dolore, con cui finanziò una fondazione per aprire scuole a favore dei bambini poveri della sua Las Vegas.
E fu una scelta che lo riconciliò con la vita e con un padre incapace di abbracciarlo come un figlio avrebbe sempre desiderato nel cuore.
Con il suo metodo, il ghostwriter ha estratto fuori nella narrazione l’identità autentica di Agassi, senza nulla tralasciare, ogni lato oscuro e devianza andava messa a nudo perché il riscatto dell’uomo diventasse leggenda.
La voce di Agassi è più viva che mai nella forza di sostenere la caduta o nella paura di quella assordante solitudine, tra la moltitudine della gente che lo osannava e lo massacrava ogni giorno, come un’onda anomala tracimante tra verità e menzogna.
Due anime legate nella storia: Moehringer e Prince Harry

“Te ne sei andato Harold”
“Sì, e tu sai il perché”
“No”
“Non lo sai?
“Onestamente no”
…
“Papà…Willy..
Mondo…
Ecco la mia storia”
Siamo nel prologo di “Spare”, l’autobiografia del Pincipe Herry scritta da Moehringer: c’è stato un incontro solitario e segreto, a Frogmore Gardens, tra il principe, suo fratello Willy e il padre Carlo, dopo il funerale del Principe Filippo.
In un crescendo di tensione a lungo repressa, i tre uomini cercano un punto qualsiasi nell’universo, per quanto irraggiungibile, dove potersi ritrovare, ma i cuori sono duri all’ascolto, forse per paura di scoprire le proprie fragilità, o forse uno smisurato orgoglio impedisce l’abbraccio.
Non lo sappiamo come è effettivamente andata la vicenda: resta solo da scrivere una storia per ritrovare la strada di casa.
Il viaggio inizia da qui, “dal profondo della notte che mi avvolge” …
Non desidero entrare nel merito di un’autobiografia che ha creato scalpore e scandalo nell’opinione pubblica, io ho letto il libro e posso soltanto dire che, oltre una verità che solo le coscienze dei protagonisti conoscono e oltre le responsabilità etiche di una stampa d’assalto, in questa storia c’è un grande senso di solitudine all’interno di una relazione tra un padre e un figlio.
E non importa che siano i reali d’Inghilterra, credo che quando ti porti sulle spalle le ferite che non sempre dipendono da te, ma da una storia che continua a scarnificarti la pelle, alla fine, se vuoi salvarti, quella storia non puoi che raccontarla nell’unico modo che conosci: a te stesso prima, e poi al mondo esterno.
Intendo invece riflettere sul legame particolare tra il ghostwriter e il principe, e mi chiedo:
Harry ha scelto Moerhringer per la fama di grande ghostwriter o perché, come è successo ad Agassi, ha sentito forte dentro di sé la spinta di trovare un’anima allineata alla sua, consapevole che, forse, era l’unico scrittore sulla faccia della terra che potesse scriverla la sua storia per come realmente l’ha vissuta?
Inoltre, quando ho iniziato questo percorso per diventare ghostwriter, è la prima cosa che mi sono chiesta: posso scrivere per chiunque e quanto potrà mai influire la mia storia nell’autobiografia che scriverò per gli altri?
Il ghostwriter, chiariamolo bene, è colui o colei che consegna una voce letteraria a una storia, che sia essa personale o professionale, una storia familiare o d’impresa (se vuoi meglio approfondire chi è un ghostwriter, ti invito a leggere il mio articolo sul blog: Clicca qui).
Pertanto, nulla di personale deve mai inserirsi nel testo autobiografico che si va a concepire per il cliente e l’unico legame importante da costruire è di empatia e accoglienza, perché è solo sulla fiducia e la totale apertura alare che si stabilirà un ponte da cui poter arrivare al cuore autentico della storia.
Eppure, due anime si incontrano, si interrogano ogni giorno, professionalità e umanità si intersecano in un abbraccio letterario che li unirà per sempre, scavando nel profondo di quel tunnel che non si vorrebbe più attraversare, solo un’ultima volta per poter finalmente dire a tutti: ce l’ho fatta, sono guarito, ora posso riposare.
Non c’è niente da fare, se sei un ghostwriter, in quella storia ti ci immergi, la vivi sulla tua pelle, ti chiama dal profondo del tuo vissuto e la traduci nella giusta voce perché tu quella storia la conosci già, anche se è totalmente diversa dalla tua, perché il dolore trascende le azioni, gli eventi, le scelte intraprese.
Le anime affini si riconoscono tra loro, viaggiano su un unico binario per tracciare un’unica direzione.
E l’autobiografia è una traccia che indica la direzione di un viaggio a cui il lettore è invitato a partecipare, senza giudicare, ma con amore ascoltare e accogliere, perché in quella storia c’è ancora un bambino in attesa di sua madre, come se fosse solo sparita dal mondo e mai morta, o di un padre che lo rassicuri, anche se oggi è un uomo, un principe, egli stesso un padre.
Ecco la matrice comune, forse per Harry sarà stato un caso che anche il ghostwriter prescelto abbia vissuto lui stesso un rapporto conflittuale con un padre distante?
Forse, ma per Agassi non ci furono dubbi, scelse Moehringer perché, come lui, ha cercato per una vita intera l’amore di un genitore ed è innegabile, leggendo le due autobiografie, come il ghostwriter abbia la naturale capacità di esplorare le complesse relazioni tra padre e figlio, nel delicato incarico di ripercorrere le vicende personali di due personaggi famosi, sempre sotto i riflettori mediatici dell’opinione pubblica.
Conclusioni

In realtà non ci sono conclusioni da trarre, ma una semplice annotazione su cui riflettere, quando cerchi un ghostwriter che scriva per te la tua storia.
Un ghostwriter ti offrirà competenza, eccellenza, stile da fuoriclasse, se lo desideri con queste qualità lo troverai, ma non dimenticare mai che sarà un professionista a cui affiderai la cosa più importante della tua vita, quella parte intima di te che a nessuno hai mai avuto il coraggio di raccontare e che ti ha reso una persona consapevole e forte.
L’empatia una “competenza” che non ti insegna nessuno e non puoi riscontrarla su un curriculum professionale, ma solo intuirla, percepirla nell’incontro.
È come innamorarsi e non puoi innamorarti di chiunque, ma solo di chi è allineato con la tua anima ed ha la giusta sensibilità di scavare fino in fondo, nei meandri della tua memoria, sarà doloroso, ma sarai finalmente libero di raccontarla la tua storia e lasciarla andare.
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