IL MASSACRO DEL CIRCEO

PER NON TACERE MAI

Seconda Puntata

LA SCUOLA CATTOLICA

“Ogni madre scrutava il proprio figlio per scoprire se lì dentro si annidasse il mostro”

Nella sezione Fuori Concorso di Venezia 78 Stefano Mordini ha presentato il suo film “La scuola cattolica”, tratto dal romanzo omonimo, intimo e autobiografico, di Edoardo Albinati.

È la storia, raccontata da un’angolazione trasversale, del massacro del Circeo, di cui ho raccontato nella prima puntata di questa raccolta di articoli: è da considerarsi uno dei fatti più cupi della nostra storia italiana, avvenuto tra il 29 e il 30 settembre del 1975.

Siamo nella Roma post “Sessantotto”, sconvolta dalle rivoluzioni studentesche e dal terrorismo e animata dai primi movimenti femministi, una Roma “per bene” che dovrà fare i conti con la propria coscienza, quando tre giovani del quartiere Parioli, studenti di una prestigiosa scuola cattolica, Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira, rapiscono, stuprano e torturano a morte due ragazze di borgata, di cui solo una restò viva, Donatella Colasanti, perché ebbe un istinto pazzesco di attaccamento alla vita fingendosi morta, mentre Rosaria Lopez non sopravvisse alle sevizie.

Come pezzi di carne

Il Tar del Lazio ha annullato la sentenza di censura da parte della direzione generale Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura perché il film fosse vietato ai minori di 18 anni, in seguito alle accese polemiche intorno a questa controversa decisione e dopo il ricorso presentato dalla Warners Bros Entertainment Italia e da Pico Media.

È una decisione del Tar emessa sotto la spinta dell’opinione pubblica, mi chiedo però quanto ci sia di buon senso comune e consapevolezza in questo capovolgimento della sentenza, perché la storia non puoi nasconderla alle generazioni emergenti di domani, se davvero desideriamo alimentare nei giovani un cambiamento di rotta.

 È fondamentale costruire ogni giorno, senza più nasconderci, per paura di far sentire la propria voce, una società non più oscurata da una cultura che considera la donna un “pezzo di carne”, sottomessa al potere patriarcale dominante ancora oggi, nonostante i passi importanti conquistati attraverso lotte legislative e sociali (ne parlerò nel prossimi due articoli).

Sì, “pezzi di carne” e non è una retorica letteraria per provocare scandalo: l’ho visto poche ore fa il film, prima di scrivere questo articolo, dovevo vederlo se desideravo entrare nel vivo della storia narrata ed eccovi una delle frasi finali che uno dei carnefici pronuncia al compagno in macchina, mentre dietro il bagagliaio giacciono i corpi delle due ragazze massacrate:

“Pezzi di carne erano e pezzi di carne sono rimasti”

Forse è un’interpretazione dell’autore, ma non ha importanza, sono i comportamenti aberranti, la totale mancanza di pentimento e l’indifferenza dimostrata durante e dopo il fatto, da parte degli assassini, a dimostrare come quella frase era ben radicata nella mente di ciascuno di loro.

Ma di cosa parla il film e, di certo più in dettaglio, il romanzo nelle sue 1294 pagine?

Il fatto del Circeo è solo la punta dell’iceberg che emergerà prepotente nelle coscienze di chi ha vissuto a stretto contatto con i protagonisti: c’è in realtà un substrato di cenere nascosto sotto il tappeto di anime “cristiane”, diventato alla fine una montagna che ha sovvertito la storia del paese e che non è stato più possibile nascondere a sé stessi:

“Non saprei dire quando tutto è iniziato, ma quella storia riguardava tutti noi, la nostra educazione, il nostro quartiere, la nostra scuola.

Dopo, niente sarebbe stato più come prima”

Fu così anche per me, appena tredicenne, come vi ho raccontato nell’articolo precedente, ma tante cose non le capii se non dopo molti anni, quando ho ripercorso la mia storia a seguito dei cambiamenti che, nel tempo, condussero a una concezione diversa del reato di stupro, non solo da un punto di vista legislativo, ma etico.

Solo nel 1996 si ottenne, infatti, che lo stupro fosse considerato non più reato contro la morale, ma contro la persona e non perché due donne furono aggredite e torturate nel fisico, ma perché una violenza sessuale uccide qualcosa dentro di te che non potrai mai più recuperare.

Quando diventi solo un pezzo di carne tra le mani di un uomo, qualcosa cambia e si entra in una spirale da cui tornare indietro richiede un enorme lavoro su sé stessi, per ritrovare brandelli della tua identità.

Donatella morì a 47 anni di cancro, ma, molto probabilmente, lei morì già in quel bagagliaio, insieme a Rosaria: sopravvisse solo per lottare e chiedere giustizia per sé e per l’amica, ma non fu capace di superare del tutto quel massacro interiore che le erose l’anima ancor prima che il cancro erodesse le sue cellule.

Le regole perverse del male

“Era il 1975 e la violenza era all’ordine del giorno”

Una cosa fondamentale da comprendere, se vedrete il film o leggerete il libro, è che non c’è stata la minima intenzione da parte degli autori di cercare una giustificazione ai giovani assassini, loro avevano il potere di scegliere tra il bene e il male, come tutti, ma è innegabile come essi siano la drammatica e inarrestabile rappresentazione di una società malata in quei fondamenti che la dovrebbero elevare all’eccellenza, invece di scaraventarla nella perdizione:

la famiglia e la scuola.

Ad un certo punto si parla di regole e non si comprendeva quanto esse fossero solo messe lì a caso, come una facciata esteriore per non perdere una reputazione irreprensibile davanti agli occhi della gente, oppure fossero necessarie per una crescita sana e matura dell’adolescente:

“…a sei anni si esce dal guscio della famiglia e si va a scuola, un altro guscio. Il rischio lì era di assumere uno di questi atteggiamenti: sopraffare o essere sopraffatti”.

L’ambiente della scuola cattolica maschile, in cui i protagonisti sono maturati nelle loro convinzioni personali, sia gli assassini che gli altri compagni che ne subivano l’influenza negativa, nascondeva tra le mura ben altre regole, se si desiderava essere accettati dal gruppo sociale: si era pronti a sopportare la qualsiasi umiliazione per sentirsi approvati dalla maggioranza e per dimostrare di essere altrettanto forti e “veri uomini”.

La violenza era la costante tra i comportamenti dei ragazzi e, ogni giorno, si ricominciava daccapo per non sentirsi uno zero, perché essere uomo significava essere in grado di non accumulare quell’aggressività repressa e bisognava, quindi, lasciarla sfogare. E si stava ben attenti a non esagerare, per non finire nelle falangi estreme del fascismo, la giovane destra reazionaria rappresentante della Roma borghese dei Parioli, in opposizione alle giovani falangi proletarie di sinistra delle borgate.

Il clima sociale e politico era questo, ma non era un mistero e le regole non si potevano equivocare, la storia la conosciamo bene. Forse, ciò che non è chiaro è un’altra subdola verità di cui il narratore, il giovane Edoardo, ci riconsegna in modo altrettanto brutale e sconcertante:

“Nascere maschi è una malattia incurabile”

In definitiva si diventava uomini ereditando il male: o lo riversavi sui più deboli o lo subivi a tua volta ed era una tragedia che affondava nella coscienza di chi si lasciava sedurre, perché il potere del male affascina, ti eleva al di sopra del branco e ti annienta il timore reverenziale che ti potrebbe suggerire la prudenza.

Ciò che alimentò la crescita esponenziale del male, in un certo tipo di società alto-borghese di allora, fu un totale vuoto esistenziale, una mancanza assoluta di valori che si opponessero alle regole perverse del male e, seppur un riverbero di coscienza morale emerse in qualcuno dei membri del gruppo, esso veniva soffocato dalla necessità di doversi adeguare per non soccombere, per non sentirsi annientato.

E non esisteva la terribile consapevolezza che anche il carnefice era destinato ad essere la peggiore vittima sacrificale, perché quel male, alla fine, lo distruggerà nel profondo dell’anima, senza la necessità benefica di chiedere perdono.

La maschera dell’innocenza

Edoardo riflette sul fatto che la sua generazione fu la prima ad aver goduto, dal dopoguerra in poi, di una illimitata libertà, senza che avessero in mano gli strumenti per poterla gestire con la dovuta coscienza e per comprendere quali fossero i confini da non superare, affinché non si facesse del male agli altri e a sé stessi:

“Le nostre famiglie sembravano solide, ma in realtà era tutto molto più fragile di quanto sembrasse e i padri erano quasi sempre assenti”

La violenza e l’indifferenza, l’ipocrisia e la paura erano insite già nel nucleo familiare, dove soltanto il benessere economico e il prestigio sociale garantivano un’apparente immunità che le famiglie dei carnefici, ad esempio, hanno abusato con arroganza, come fosse un atto di forza, ma altro non era che una mancanza assoluta di valori, soprattutto nei confronti della donna.

Si indossava così una maschera di innocenza per nascondere, più a sé stessi che nel gruppo sociale, una grave debolezza morale e una paura nei confronti delle relazioni con l’altro.

Il sesso era un luogo di attrazione e perversione, un mistero da scoprire e faceva spavento, anche se nessuno lo avrebbe mai ammesso per non perdere la faccia: alcuni lo usavano per liberarsi, altri per distruggere.

E le ragazze diventavano esse stesse oggetto da esplorare, il mistero della verginità veniva offerto non per mancanza di pudore, ma per paura di non essere più viste, come fossero spettri che respirano.

“A volte da una piccola colpa si genera un grande male e la conseguenza più ingiusta del peccato è che contamina sia i colpevoli che gli innocenti”

Ed ecco l’aberrazione del massacro del Circeo che invase le giovani anime e nessuno più si sentì protetto dietro la maschera dell’innocenza.

Nessuno può ritenersi innocente, perché i comportamenti deviati, sempre giustificati all’interno dei nuclei familiari, e la cecità dinanzi alla sopraffazione dei più fragili, come se non riguardasse la coscienza di ognuno, ha contribuito a generare i “mostri del Circeo”.

Il giorno dopo il fatto, Edoardo e alcuni dei suoi compagni compresero che i loro errori non potevano più essere cancellati perché tutto era avvenuto sotto i loro occhi, nelle loro case e nella loro scuola e nessuno ebbe il coraggio di parlarne per affrontare la tragica verità che si stava consumando.

“Ci eravamo cuciti addosso una maschera di innocenza.

Poi, in quei giorni, cessò di colpo di esserci una differenza tra essere ragazzi un po’ scapestrati e feroci assassini”

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