
UN’APERTURA DI LUCE SULLA STORIA
Possiamo dire che fotografare è scrivere con la luce.
L’etimologia stessa della parola, dal greco phos (φῶς), luce e graphia (γραφία),scrittura, ci suggerisce che la fotografia è un racconto scritto in cui non sono le parole, ma è la luce a disegnare i contorni di una storia, un frammento di realtà racchiuso in un confine visibile, fissato in un “qui ed ora”, oltre il quale c’è solo un ignoto da immaginare e scoprire.
Ma il rapporto tra fotografia e racconto va ben oltre un concetto etimologico del termine.
Racconto e fotografia si corrispondono nell’immediatezza dell’esperienza narrativa.
Quando un fotografo sceglie un soggetto da immortalare in un’immagine, ragiona sugli effetti di luce e messa a fuoco, definisce i confini dell’inquadratura e sceglie ciò che dovrà essere mostrato e ciò che invece resterà in ombra: in pratica deve sapere come la luce si comporta sui soggetti da fotografare, quali emozioni potrà suscitare perché è con essa che scriverà la storia a colpo d’occhio.
Lo stesso lavoro dovrà affrontare uno scrittore quando decide di scrivere un racconto: è una ricerca profonda delle parole giuste che, quando ci si immerge nella lettura, mettano in luce un frammento di storia su cui volgere lo sguardo interiore per creare un’emozione che si gioca in un pugno di parole.
Quando lo sguardo si sofferma su un’immagine, la cogli all’istante nella sua apertura di luce e allo stesso modo un racconto, a differenza di un romanzo, lo leggi tutto d’un fiato, lo percepisci nell’apertura precisa che lo scrittore ha delineato durante l’atto creativo.
Il racconto, in definitiva, è un quadro d’insieme in cui ambiente e personaggi si muovono in un “fermo immagine” oltre il quale possiamo solo fantasticare su cosa è accaduto prima e cosa accadrà dopo.
È un’apertura di luce sulla storia e il tempo si ferma lì, in un avvenimento che si staglia tra poche pagine, ma che ti cattura la mente in una parentesi in cui la lettura si consuma dall’inizio alla fine, respiro dopo respiro.
QUANDO GLI SCRITTORI INCONTRANO LA FOTOGRAFIA

Fotografi e scrittori si incontrano nell’esperienza di raccontare frammenti di realtà e uno degli scrittori che ha messo a confronto queste due arti è stato Julio Cortazar, poeta, drammaturgo e saggista argentino di origine francese: egli afferma che l’immagine e il racconto devono agire su chi osserva e legge “come una specie di apertura” tale da provocare nell’animo un’esplosione di emozioni che oltrepassa la realtà narrata, fino a sfiorare la soglia che divide il “visibile dall’invisibile”.
Avvertiamo che in un racconto, come in una fotografia, ciò che più ci affascina è il mistero di ciò che non viene narrato, ma che esiste, ne avvertiamo la presenza.
La vera arte è nel non rappresentare la realtà come una mera fotocopia di un memoriale, ma nel saper stimolare la curiosità a sondare oltre i confini del visibile, come la mente stessa gioca con i limiti della natura fino a colmarne i vuoti, se pensiamo al “punto cieco” di un occhio che non ha la predisposizione a recepire la luce.
Un altro scrittore che legò nell’intimo la sua arte alla fotografia fu Lewis Carroll, l’autore di “Alice nel Paese delle Meraviglie”: fu nel 1856, quando insegnava matematica Christ Church College di Oxford, che lo scrittore si avvicinò alla fotografia sperimentando un modo unico di percepire la realtà, una personale visione del mondo che poi tradusse nella scrittura in modo sublime.

A differenza dei fotografi suoi contemporanei, egli non amava realizzare le fotografie con sfondi scenici artefatti e stereotipati, ma preferiva riprendere le bambine, i suoi soggetti preferiti, in ambienti naturali e in pose che impersonassero la bellezza pura, a volte seminude, libere dalla rappresentazione rigida e moralistica tipica dell’epoca vittoriana, tanto che fu anche sospettato di pedofilia.

Lewis desiderava soltanto ricercare armonia e bellezza, una semplicità carnale dell’immagine che non lo rese un fotografo richiesto come i professionisti del periodo, ma sarà di certo un mezzo attraverso cui trasse ispirazione per la realizzazione del suo capolavoro letterario, anche se lui negò che il personaggio di Alice fosse legato a una bambina, figlia del rettore Liddell, che per anni fu la musa privilegiata dei suoi scatti.
Alcuni critici della fotografia, analizzando le immagini realizzate da Carroll, hanno affermato che per lo scrittore, fotografie e storie erano fatte della stessa sostanza.
In definitiva l’immaginazione dei suoi racconti combaciano con la “letterarietà” delle fotografie, ma ciò che traspare di più è l’incanto che lo scrittore provava nei confronti dei bambini, per la loro fantasia e capacità di astrarre la realtà.
DALLA FOTOGRAFIA ALLA SCRITTURA: IL MIO VIAGGIO ALLA RICERCA DI UNA STORIA

C’è stato un tempo in cui avevo perso il senso della mia storia, l’immagine della mia identità.
E se la vita non ha più senso, non hai più una storia da raccontare, un foglio bianco da riempire, perché ti guardi allo specchio e non riconosci la donna che ti rimanda indietro la luce.
Poi la vita mi regalò una seconda occasione, un’apertura di luce sulla mia storia.
lo sguardo cambiò prospettiva e volevo capire, ricercare un modo di raccontare ciò che vedevo intorno a me e dentro di me, ma non trovavo le parole giuste, come se la mente si rifiutasse di pensare e di tradurre su carta le emozioni che aleggiavano tra anima e corpo.
Così cercai chi mi spiegasse come si rappresenta la bellezza perché quando torni a respirare la prima cosa che pensi, abbracciando chi ami, è che la vita è bellezza e bisogna raccontarla per come l’hai vissuta: dopo il pianto, dopo il dolore, dopo la paura, esiste la speranza.
E come la rappresenti la bellezza, la speranza?
Allora mi iscrissi ad un corso di fotografia per imparare ad usare la Reflex, anche se non ne avevo una e nemmeno mi potevo permettere di acquistarla, ma volevo sapere come si gioca con la luce.
Appresi tante concetti tecnici a cui mi avvicinai con curiosità, ma fui innanzitutto assorbita dalla voglia immensa di osservare la vita che un teleobiettivo ti rimanda.
E sei tu a decidere come questa storia la vuoi raccontare, senza parole, solo con l’immagine riflessa dentro di te che oltrepassa lo sguardo.
Riscoprii me stessa, recuperai il contatto con il mio corpo e mi presi cura della donna che ero attraverso la gioia di osservare in me i cambiamenti, ne fotografavo le evoluzioni e i giochi di luce divennero le mie parole.
Poi un giorno andai a ricercare foto del mio passato, bianco e nero di ricordi per tanto tempo dimenticati, colori sbiaditi di spensierata giovinezza che nella fantasia si riaccendono di vita nuova.

Mi sono resa conto che la mia storia era tutta lì, in un sequenza di immagini che dovevo ricostruire dentro me stessa e, passo dopo passo, attraverso la fotografia, ho riscoperto le parole giuste per raccontarla la mia storia.
Un’apertura di luce che ha attraversato il dolore, ha superato la paura ed ha ricominciato ad illuminare la mia strada.

Ed eccomi qua, osservo la foto del gatto di mia figlia, un essere in bianco e nero avvolto di mistero, eppure nulla di più semplice perché non c’è finzione o posa, sorrisi falsi che nascondono la verità: un gatto non sa di essere immortalato in un’immagine, è se stesso, come noi dovremo essere dinanzi a un teleobiettivo, senza filtri, puri e nudi a scoprire chi siamo perché noi la storia la conosciamo oltre ciò che possiamo raccontare o mostrare agli altri.
In realtà è il non detto e il non visibile la vera storia che non dovremo mai dimenticare di raccontare a noi stessi, ogni giorno, nella libertà di essere felici.
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