PER NON TACERE MAI
Prima puntata

L’ABISSO ATTRAVERSO I MIEI OCCHI INNOCENTI
«Se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te»
(Friedrich Nietzsche)

Il 29 e 30 settembre 1975 avvenne il massacro del Circeo…

…e da quel giorno i miei occhi persero l’innocenza, quando tre giovani pariolini della cosiddetta “Roma bene”, Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira condussero in un abisso di violenza e terrore due ragazze della borgata, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez.
Delle due solo una tornò viva grazie ad un istinto salvifico che le suggerì di fingersi morta e divenne per tutti noi unica voce del terrore che si consumò tra le mura bianche di una villa del Circeo.
Perché?
Ed è un perché che risuona ancora potente nelle coscienze di chi, da spettatore impotente, ha vissuto in quegli anni i fatti.
Avevo tredici anni quando presi in mano il giornale del Messaggero e lessi quella notizia.
La domenica ero solita prendere il quotidiano dopo che lo avevano letto i miei genitori, curiosa di sapere cosa avveniva fuori della mia casa, un nido dove mi sentivo al sicuro, ma che iniziava a starmi stretto e mio padre mi ha sempre incoraggiato a esplorare, a leggere di tutto, a ricercare la verità dietro una storia, qualsiasi essa sia.
Pertanto, quando quel giorno sfogliai le pagine del Messaggero, lui non mi disse nulla, non tentò di proteggermi dalla brutalità della notizia, un’efferata aggressione di cui furono vittime due ragazze poco più grandi di me e che provenivano dalla borgata come me.

Forse era proprio la verità che avrebbe dovuto proteggermi, invitandomi alla prudenza, a non accettare inviti da ragazzi sconosciuti?
Era questo che mio padre voleva che comprendessi?
Non lo so, vero è che non mi fu edulcorata da nessuno la pillola della conoscenza, la verità nella sua crudezza la lessi senza saltare alcun particolare e non per morbosa curiosità, ma perché ebbi paura.
E quella paura, seppur appena tredicenne, la volevo attraversare per capire il perché di tutto questo, un perché che imbarazza e che dovrebbe imbarazzare tutti noi, nonostante siano trascorsi ben quarantasette anni dal fatto.
Così, da un giorno all’altro, mi ritrovai in un abisso che invase la mia anima, mi scrutò fino in fondo e spense per sempre la mia innocenza.
Non fu un fatto di cronaca nera come tanti che avevo seguito, quando vivi in una città come Roma, alla fine ti ci abitui alla violenza delle storie che accadono a due passi da te e le osservi come se non potessero mai scalfire la quotidianità tranquilla della tua vita di adolescente che deve solo pensare a studiare e a divertirsi con le amiche.
Sono fuori dal tuo contesto, tu non c’entri con quella realtà, così mi dicevo.
La parola stupro la conoscevo già, in qualche modo mi era stata spiegata, anche se di sesso non sapevo granché se non quello che si spettegolava tra le compagne più emancipate della classe o sbirciando di nascosto qualche fotoromanzo.
Non avevo nemmeno idea di cosa si provasse, quanto male potesse fare uno stupro e come avrei potuto saperlo, se nella mia famiglia, come nella maggior parte delle famiglie di quel tempo, parlare di “queste cose” era sconveniente?
“Tu non dare confidenza ai ragazzi più grandi di te e che non conosci, vieni dritta a casa dopo la scuola, esci solo con le amiche fidate e non ti succederà nulla”.
Alle “brave ragazze obbedienti e senza grilli per la testa” queste cose non succedono, questo era il ritornello che mi veniva propinato, di certo solo per proteggermi da cattive compagnie in una città difficile come Roma, capivo mia madre e le sue preoccupazioni, ma alla fine mi aveva raccontato una storia non reale, come fossimo in una favola dove il lieto fine è garantito perché è così che deve andare: le principesse vengono sempre salvate dal drago e sposeranno il principe azzurro, se si preserveranno caste e pure dal male e docili alle regole.
Donatella Colasanti e Rosaria Lopez divennero nomi familiari perché seguii passo dopo passo lo sviluppo delle indagini e il processo, le testimonianze, i racconti della gente, ogni dettaglio che i giornali offrivano in pasto alla gente.
Quelle due ragazze furono vivisezionate e “processate” dal Belpaese perché tutto sommato se “fossero rimaste a casa, accanto al focolare domestico, non sarebbe successo” e non mi capacitavo dentro me di questa stortura: per quanto giovanissima, ero abbastanza istruita per capire la differenza tra vittima e imputato e loro non avevano fatto nulla di male.
E allora perché questo secondo massacro?
Un altro perché ancora più imbarazzante.
Nessuno si chiese, su quei giornali e tra la gente comune, come mai Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, quei “bravi ragazzi” dei Parioli, di buona famiglia e che hanno frequentato scuole private cattoliche, abbiamo potuto commettere tali nefandezze, stuprare, torturare e uccidere due ragazze semplici di borgata che forse sognavano, anche solo per un giorno, di poter far parte di un mondo dorato così lontano dalla loro realtà quotidiana.
Io tredicenne me lo chiesi e mi chiesi anche come mi sarei comportata io al posto loro, se avrei accettato quell’invito allettante per una semplice ragazza di periferia che spera in una vita diversa dallo squallore delle borgate romane.
Invece che nel palazzo fatato però le ragazze di borgata finirono nella tana del lupo cattivo.
Ecco che, ai miei giovani occhi, la favola cambia colore, il principe, ricco e affascinante non ha più nulla di azzurro, ma l’animo nero di un corvo e fa paura, deve far paura se vuoi vivere.
Paura di diventare una vittima, certo, chi teme di diventare un giorno carnefice?
Nessuno, perché altrimenti considerare tale possibilità, significherebbe affrontare un abisso nei nostri occhi che nessuno vuol vedere.
E infatti preghiamo sempre Dio “fa che non succeda a me” e mai “fa che non sia io a farlo”, eppure sarebbe la peggiore perdizione, la morte lenta e inesorabile di un’anima che va incontro all’inferno.
Forse, se quei “bravi ragazzi” avessero pregato di non diventare carnefici, le cose sarebbero andate in un altro modo, avrebbero scelto una strada diversa, più consona ai valori ricevuti, ma la scelta sbagliata la fecero Donatella e Rosaria, non loro, secondo la mentalità di allora.
E oggi?
Sono certa che le cose non siano poi tanto cambiate oggi, se ancora sentiamo il bisogno di andare al fondo di una vicenda che la storia non riesce a dimenticare perché ha stravolto in modo radicale le coscienze di una società intera, persino le leggi che ne regolano la morale e la tutela della persona.
Da pochi giorni è uscito nelle sale il film “La scuola cattolica” di Stefano Mordini e ne parlerò nelle prossime puntate, ma una cosa la voglio dire in merito a questo evento, in conclusione di questo primo articolo, ponendo un altro “perché” a cui dovremo rispondere noi, non lo Stato o chi per esso: perché è stato vietato la visione del film prima ai minori di 14 anni e poi ai minori di 18 anni?
A me tredicenne la storia non l’hanno raccontata registi e attori, filtrando i fatti e interpretando le situazioni vissute da chi c’era in quei due giorni, io quella storia l’ho respirata, per la ragazza ingenua che ero, nei fatti e nelle ripercussioni del processo e pensate che mi abbia fatto male o traumatizzata?
No, leggere del massacro del Circeo, seppur adolescente e con la paura nel cuore, ha costruito dentro me una coscienza di valore e una consapevolezza di quale donna sarei voluta essere e che negli anni ho maturato nelle esperienze vissute.
E mi chiesi ancora, con ingenuo stupore, come se avessi assistito ad un miracolo divino: come ha potuto Donatella salvarsi, quanta forza ci vuole per fingersi morta sotto il peso della violenza brutale e schiacciata dal corpo dell’amica morta in un bagagliaio di un auto, oppure è stato Dio a salvarla?
E la risposta l’ho cercata in ogni giorno della mia esistenza, nei momenti più bui e senza speranza, quando nulla sembra più avere senso.
Porre ancora una volta la benda sugli occhi ai futuri uomini e donne di domani, significa rafforzare ancora una volta il mostro che abita in ognuno di noi.
Quell’abisso esiste e dobbiamo attraversarlo perché nessuno è innocente e per salvarci possiamo solo redimerci, accogliendo nella nostra vita la verità.
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