GRAZIA DELEDDA

ANIMA SARDA, ANIMA LIBERA

Possiamo ancora ascoltare un canto che viene da lontano, trasportato dal vento, il tuo canto, Grazia Deledda, anima sarda, anima libera che hai sfidato con coraggio la famiglia e le convenzioni del tempo per vivere la vita che ti apparteneva.

Ho vissuto coi venti, coi boschi, colle montagne.

Ho guardato per giorni, mesi ed anni il lento svolgersi delle nuvole sul cielo sardo.

Ho mille e mille volte poggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie, ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l’acqua corrente.

Ho visto l’alba e il tramonto, il sorgere della luna nell’immensa solitudine delle montagne, ho ascoltato i canti, le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo.

E così si è formata la mia arte, come una canzone, o un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo”.

(Estratto dal discorso di Grazia Deledda in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Letteratura il giorno 10 dicembre 1927)

Sono parole che, dagli allori riconosciuti ai Grandi, ti riportano nel luogo dove tutto è cominciato, la tua amata Sardegna.

E ti voglio incontrare nel sogno che racconta di me, donna del Terzo Millennio, aiutami a ritrovare in me le tracce di una storia dimenticata, quelle radici che mi riconsegnano ad una terra maltrattata, ma fertile di parole eterne.

Grazia Deledda sei stata una donna d’altri tempi, dalle fattezze antiche e profumata di mirto, ma che nel nostro paese hai precorso battaglie femministe senza mai essere una femminista militante, con molta semplicità e forza hai lottato per te stessa e per l’arte letteraria di cui la tua anima era intrisa sin da bambina.

Nonostante non ti sia stato consentito di studiare, il tuo sogno non lo hai mai abbandonato, da sola ti sei forgiata scrittrice, insopportabile per il mondo intorno a te, dove essere donna significava dedicarsi alla famiglia, alla cura del focolare domestico e non certo ad inseguire chimere di gloria.

In definitiva la tua è una storia di emancipazione e libertà, legata con il cuore ad una terra ricca di seduzioni ed essenze selvagge, ma anche una terra avara e violenta e l’hai raccontata da donna moderna, con la verità del cuore e la saggezza consapevole di essere molto di più di come ti avevano disegnata i tuoi avi.

La tua modernità è vincolata alla lotta contro il pregiudizio, non ti ha schiacciata la paura di abbandonare quel suolo natio tanto amato e raggiungere Roma insieme a Palmiro, l’amore della tua vita.

Roma, la città dei fasti e della perdizione, la città di ricche opportunità, gravida di cultura e arte, è una fonte inesauribile a cui tu di abbeveri con avidità, senza mai sentirti subalterna ad un mondo dominato dal patriarcato, ma coraggiosa scali le vette ardite dell’arte letteraria fino a diventare l’unica donna in Italia a meritare il Nobel per la Letteratura e ancora quel titolo ti appartiene.

Eppure, dopo la tua morte, ti hanno offuscata, la critica ti ha massacrata, il consenso ti ha messa in ombra, senza mai meritare di comparire nei testi scolastici tra i migliori della nostra storia letteraria.

Chi sei Grazia?

Una donna come noi, che ha raccontato storie di donne come noi e hai oltrepassato con coraggio i confini della terra italica, intessendo relazioni e scambi culturali affinché queste storie trovassero la giusta riconoscenza, rompendo gli schemi imposti dalla società del tempo.

Non sono storie facili, perché facile non è la vita nel tuo mondo, per chi come te desidera esistere libera dalle catene delle convenzioni, dopo anni afflitta dalla violenza che si genera nel segreto tra i sassi di Sardegna, invisibile agli occhi, ma respirata da animi maldicenti, chiusi alla bellezza dell’arte che è parte profonda della tua essenza.

Le tue opere ti hanno emancipato alla libertà, ma mai hai tradito chi sei e le radici che ti hanno forgiata scrittrice: da esse emergono due anime, quella intima, legata alle tue origini, alla famiglia, e quell’anima forte e razionale, capace di diventare manager di te stessa.

Contro ogni giudizio e critica, contro il disconoscimento dei letterati del tuo tempo, tu lo hai meritato il Premio più prestigioso della terra e le motivazioni ne confermano l’autenticità e il dinamismo con cui hai costruito una nuova alleanza tra il mondo antico e il mondo che evolve verso nuove opportunità per noi donne:

Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale, e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”.

E di umanità si tratta quando scorriamo le pagine del tuoi romanzi, potente è la tua penna, sia che disegni le forme affascinanti e scabrose racchiuse nella tua isola, sia che affronti le solitudini di chi cerca una via di uscita perché la felicità è un orizzonte lontano, offuscato dalla nebbia dell’ipocrisia e di poteri violenti che secoli di storia hanno radicato sotto la pelle degli uomini.

SIAMO COME CANNE AL VENTO

Hai narrato le fragilità umana tra amori sofferti e povertà, onore e violenza, fino a riconoscere l’amara consapevolezza che tutti noi abbiamo un destino segnato.

Eppure tu il tuo destino lo hai sfidato, sei sfuggita ad una sorte segnata da generazioni passate.

Nel tuo grande capolavoro, “Canne al vento”, tra le miserie di uomini e donne che sopravvivono alle insidie della vita, ci hai indicato la via del perdono, ad abbracciare quei lati oscuri della nostra anima per offrirci una speranza di salvezza dalla perdizione.

Siamo come canne al vento e “la sorte è il vento”, un vento che sovrasta la potenza delle montagne, un vento che tu ci hai insegnato a riconoscere e a combatterne la forza dirompente.

E un vento imponente può distruggerti, ma può trasportarti oltre le strade della tua prigione esistenziale, non è così Grazia?

Non ti sei piegata al destino, lo hai governato spiegando le vele della libertà e hai costruito con le tue mani la nave che ti ha condotto lontano dalla tua amata terra.

Le tue eroine sono donne consapevoli degli errori commessi ed è proprio questo a renderle umane e capaci di proteggere ad ogni costo chi tanto amano, immerse in una sorte dissoluta che si fonde con un paesaggio aspro e deserto: sono vere, sono fragili, sono distanti dalla tua visione moderna di femminilità, ma tu le ami nella loro verità, ne hai tratteggiato con doviziosa arte letteraria la loro anima ardente racchiusa tra le mura violente di un dolore atavico.

IL FEMMINISMO DELLA

“SORORITÀ”

Oggi, noi donne del Terzo Millennio, dovremo ricominciare da te, riscrivere un femminismo in cui la parola che ci unisce è la “sororità”, ovvero quel legame di sorellanza che da troppo tempo è stato dimenticato, barricate dietro ideologismi di genere che ci allontanano dalla nostra intrinseca verità: essere donne alleate e non donne nemiche di se stesse, come purtroppo molto spesso vediamo oggi, ammantate ancora di pregiudizi patriarcali di cui con difficoltà riusciamo a scrostarci dalla pelle.

Tu sei stata lontana da un femminismo astratto e collettivo di cui già avvertivi gli echi e ne avevi persino preso parte insieme a Maria Montessori partecipando al Primo Congresso del Movimento Femminista Italiano, ma te ne distaccasti perché molto più legata ad un femminismo di relazioni private, di sostegno personale dove non vi fosse antagonismo o agonismo.

Il legame stretto con le tue sorelle o le amicizie profonde con Maria Montessori, Matilde Serao, Sibilla Aleramo ed Eleonora Duse ci raccontano una verità nascosta, ma carica di solidarietà: siete donne dalla vita pubblica piena di successi e riconoscimenti, ma da un privato doloroso in cui la ferita inferta non può guarire se non in un rapporto di sorellanza e ascolto.

Donne forti, ma dalle fragilità segrete che solo in un legame intimo trovano la strada dell’emancipazione sociale.

A noi manca questa prospettiva di afflato amorevole, sin dagli anni del femminismo militante degli anni Settanta siamo sempre state affannate ad inseguire carriere in continua competizione con gli uomini, per dimostrare ogni giorno di essere cazzute quanto loro, ma tutto questo ci ha fatto dimenticare che per essere libere e affermate, è importante essere innanzitutto unite nell’amicizia solidale.

E voglio raccontare il tuo legame di amicizia con Sibilla Aleramo, una donna segnata da una violenza carnale all’età di quindici anni e costretta ad un matrimonio riparatore dalla famiglia: non fu facile vivere poi da donna separata, condannata dalla società, lontana dal suo bambino e tu, con amorevole attenzione, in anonimato l’aiutasti perché ormai ridotta in povertà e allontanata da tutti.

Nel suo libro “Una donna” Sibilla racconterà cosa significa vivere la condizione di donna libera ed emancipata in una società patriarcale e dalle ferree leggi che non proteggono le donne, ma le condannano e tu, Grazia, accogliesti quel dolore, la vergogna di quei giorni e la tua “sororità” fu un atto di femminismo privato e intimo, un segreto che valse molto più di mille battaglie urlate nelle piazze.

CONCLUSIONE

Grazia Deledda, un Nobel da non dimenticare.

Anima sarda, anima libera.

Hai consegnato alle donne del mondo parole nuove, costruito strade su cui affermare la propria indipendenza, disegnato immagini che ci restituiscono i profumi della nostre radici.

Anima arcaica, anima moderna.

Hai rappresentato la condizione femminile del tempo, donne condannate ad una subalterna arroganza maschile, destinate a subire all’infinito le traversie di un destino pauroso di violenza: le tue sono parole che restituiscono a tutte noi dignità e vita.

Ti siamo riconoscenti per la tua arte letteraria, Grazia Deledda, è un dono per l’umanità e più ancora per l’Italia, un dono semplice e potente, da affidare alle giovani menti quale preziosa eredità per un domani migliore.

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